Quel sogno (o necessità) di conciliare ambiente e lavoro

POLITICA LOCALE

Si è detto, in questi giorni, che 50 anni fa “i poteri forti dello Stato e delle lobby più o meno occulte e i faccendieri locali dell’industrializzazione ad ogni costo” riuscirono a ingannare le comunità locali. Purtroppo Il quadro è più complesso. Se ora può apparire semplice individuare da che parte erano il torto e la ragione, allora no, e si contrapposero due ragioni.

C’era il problema drammatico della disoccupazione nel Sud e dell’emigrazione massiccia verso il Nord. Studiosi famosi, meridionalisti anche, chiedevano una terapia shock, una industria di stato che impedisse che l’Italia fosse tagliata in due. Si investì nei due settori “forti” : siderurgia e chimica. Poli di sviluppo che avrebbero dovuto trascinare il resto del territorio. L’investimento a Manfredonia era “in ristoro” del metano trovato nel Subappennino daunio. Imponenti manifestazioni si erano svolte in Capitanata perché il metano fosse sfruttato “in loco”.  Era un salto verso la modernità. Non vi erano oppositori. O meglio l’unica divisione riguardava la localizzazione. Invece che la piana di Macchia, spostare l’insediamento a Sud e più lontano dalla città, nell’area dove sorgeva l’Ajinomoto.

L’emigrazione era enorme. A Manfredonia la popolazione era cresciuta molto (un incremento nei 20 anni dal dopoguerra di oltre il 51%), sfiorava i 50.000 abitanti; si contavano oltre 2000 emigrati e altrettanti si preparavano. Monte S. Angelo era svuotata. Interi paesi del Nord erano stati popolati da “montanari”. Cominciarono a partire allora (e continuano tuttora) autobus settimanali verso la Lombardia (Nova Milanese), portando derrate alimentari e persone. Ancora a metà anni settanta in quasi tutte le classi di Monte S. Angelo la metà degli alunni avevano i genitori nel triangolo industriale, in Belgio, in Germania. In una parrocchia un gruppo di studenti aveva avviato un doposcuola e una indagine sociale. Si scoprì l’esistenza di un triste fenomeno: le  vedove bianche, donne (e famiglie) che erano state lasciate e non sapevano più nulla dei mariti. Si contarono non meno di venti nuclei familiari, ma erano molti di più, dicevano. Tragedia nascosta, ignorata… difficile da elaborare e da pensare. Con effetti devastanti sui figli. La campagna elettorale di quegli anni a Manfredonia del Partito comunista fu impostata e vinta sulla necessità del rientro degli emigrati, che vennero in massa a votare.

Si parlò di distruzione di un pezzo di costa importante, in un’area destinata allo sviluppo turistico, e pertanto alcuni chiedevano un’altra localizzazione. Non fu posto l’accento sull’inquinamento e la salute; la sensibilità ecologica a livello internazionale inizia a emergere nei tardi anni sessanta. Gli studi sui modelli più piccoli e di maggiore sostenibilità furono elaborati ancora più tardi. Nel 1973 uscì in inglese “Small is Beautiful” di Ernst F. Schumacher, tradotto in Italia solo nel 1977; il testo, ritenuto tra i più importanti del Novecento, dimostrava come le sole ricette coerenti con le esigenze sostenibili dovevano essere cercate in modelli piccoli che privilegiavano il lavoro di qualità. Nei primi anni settanta, invece, si insediarono non solo immensi stabilimenti, ma furono ampliati altri. Nel 1971 ci fu la vertenza Taranto che portò a raddoppiare e quasi a triplicare il siderurgico dell’Italsider. La sensibilità ambientale emerse lentamente: la legge Merli, la prima di tutela ambientale, è del maggio 1976. Il ministero dell’ambiente venne istituito nel 1986.

A Manfredonia nel 1976 emerse la superficialità e la casualità negli interventi di bonifica, l’assoluta e sconcertante ignoranza nel governare i processi in atto. Non è vero che si subì l’iniziativa aziendale: l’amministrazione pubblica fu incalzante e all’interno del Consiglio di fabbrica e della federazione dei chimici operò un gruppo di lavoro che con esperti esterni (in contatto anche con la rivista Sapere) produssero un piano di trasformazioni tecniche per rendere “sicura” la fabbrica. Il Sindacato, la Politica (pur con divisioni interne) e anche larga parte della città scommisero su questo disegno, che, pur accettato dall’azienda, man mano si inceppò. La stessa amministrazione pubblica, dopo una fase iniziale, manifestò sempre più una malcelata diffidenza. Le discussioni nei sindacati, nei partiti, alla “Società umanitaria” e in altri luoghi furono intense, numerosi i dibattiti, varie le opinioni anche tra coloro che ritenevano possibile conciliare i valori dell’ambiente e del lavoro. Un passaggio stretto e faticoso, difficile, perché si combatteva contro una modalità di produzione, che “subordinava la salute individuale e collettiva al profitto privato e di Stato”. Finiva l’illusione di uno sviluppo industriale senza rischi, come pure era tramontata l’altra dei 5000 posti di lavoro.

 

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