Futuro. Si può essere felici con sobrietà

CULTURA

Due serate (a S. Giovanni Rotondo e Manfredonia) di discussione sulle generazioni future, in cui si affacciavano i nomi di filosofi importanti, di giuristi, di teorie che hanno attraversato e attraversano la storia del pensiero, ma in cui faceva capolino anche la realtà, o meglio la vita quotidiana, quella timida che teme di essere intrusa e spesso resta in silenzio.

Si parla di futuro e si pensa a quello che costruiamo noi con le proiezioni delle nostre illusioni e delle nostre paure. “Dobbiamo cambiare prospettiva e farci interrogare dalle generazioni che verranno”, dice invece Menga, autore del libro “Lo scandalo del futuro”. Ma come? Condizione fondamentale è smettere i panni autoreferenziali, narcisisti, uscire fuori dalle nicchie protettive e aprire le porte alla sorpresa, alla conoscenza, alla curiosità, alla creatività, all’immaginazione, all’alterità. Questo il fondamento per farci interpellare dal futuro e ascoltare la voce delle generazioni che verranno.  La vita di tutti gli uomini è attraversata da sogni a occhi aperti. Non parliamo delle “utopie”, quelle totalizzanti, proiezione di idee di potenza e dominio, frutto di una concezione di progresso illimitato…  Parliamo invece delle aspirazioni, dei desideri, dei sogni di chi vuole migliorare il proprio destino e quello del mondo, costruire ponti verso il futuro.

E’ del 1968 il saggio di Garret Hardin sulla tragedia dei beni comuni: appartengono a tutti, ma se fossero da tutti utilizzati si potrebbero esaurire in breve tempo. Perciò vanno difesi e protetti dallo Stato o privatizzati. Hardin fa il discorso della pesca, in termini analoghi a quello che si fa oggi, dobbiamo porre dei vincoli, per poter lasciare alle future generazioni la possibilità di usufruire di questo bene. E’ possibile una gestione diversa dei beni comuni, che veda anche la partecipazione dei cittadini? Ci sono beni comuni che sono stati posseduti, gestiti e conservati a livello comunitario. “Un altro modo di possedere”. Una realtà studiata di recente dal premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom, che ha posto l’accento sulla fiducia reciproca, la gestione comunitaria, la condivisione. Numerosi esempi sia del passato che del presente dimostrano, dice la studiosa americana, che le comunità possono governare le risorse comuni, consolidare rapporti di fiducia reciproca, ideare nuove regole, stabilire forme pertinenti di cooperazione. I beni comuni devono “essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Incorporano la dimensione del futuro e quindi devono essere governati anche nell’interesse delle generazioni che verranno(Rodotà)

La conoscenza è un bene comune speciale, che non si esaurisce con l’uso da parte di tutti. Anzi più si usa e più cresce. Eppure oggi con le tecnologie digitali le conoscenze possono essere recintate, inquinate, alterate. E’ un bene da proteggere, “è un tesoro collettivo di cui dobbiamo rispondere di fronte alle generazioni che ci seguiranno. La sfida di quella attuale è tenere aperti i sentieri della ricerca” (Ostrom).

Il libro di Menga ci lascia numerosi interrogativi. Come coltivare una visione lungimirante? Come investire sul futuro? Quale nuova formazione per i giovani? E soprattutto la sfida di “anteporre l’eredità che dobbiamo consegnare alle generazioni future all’istinto primordiale di divorare tutto e subito(Settis).

E la politica? Tiene basso “il tetto delle nostre aspettative”, il futuro è solo una parola buona per una campagna elettorale. L’ambiente è “una rogna” per chi resta sulla terra. Insomma la politica sembra infastidita se deve chiedere qualche sacrificio a vantaggio di quelli che verranno e ritiene che “il sasso su cui poggia il nostro culo è il padrone della festa” (Fabi – Silvestri).

Si chiude il libro e si esce dall’incontro senza risposte definite, ma condividendo molte domande. Non è poco.

 

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