Il PD mette in soffitta i padri fondatori. Una delegazione in Cina per studiare Confucio. E intanto aspetta sull’argine.

CULTURA

Una delegazione del Pd con esponenti di Manfredonia, Foggia, Bari (pare anche da Roma) si è recata in Cina per consultare il maggiore interprete di Confucio. Che fare dopo la sconfitta? Da dove ripartire? La risposta del grande saggio: “Raccogliete le vostre cose. Sedetevi sulla riva del fiume e vedrete passare i cadaveri dei vostri nemici”. 

E così hanno fatto. Non si sa quanto tempo devono aspettare. Non hanno specificato chi è il nemico, se Lega o 5 Stelle. Su questo la delegazione è divisa. Qualche cadavere è passato, ma non proprio di quelli auspicati. I vincitori del 4 marzo hanno opportuni salvagenti e riescono a navigare bene. Alcuni di essi ricevono insperati aiuti. Sono in tanti coloro che non vogliono dare alcuna soddisfazione a quelli sull’argine, perché, dicono, hanno pensato a salvare solo se stessi e i loro amici e hanno lasciato che tutti gli altri (giovani soprattutto) fossero trascinati e travolti dalla corrente.

Il messaggio di Confucio era accompagnato da altre considerazioni che sono state, però, trascurate, e cioè: “Desiderate il bene e il popolo vi seguirà”; “Correggetevi e il popolo si correggerà”. “Mettete via l’orgoglio e volgetevi verso il popolo”. Qualcuno ha cercato di farlo, ma è accaduto quello che è capitato al giglio di cui parla nel 1400 Leon Battista Alberti. “Quando l’acqua vicina montò verso di lui, il fiore di giglio, sbigottito e pallido depose il suo tradizionale orgoglio e si è piegato eccessivamente allo scopo di salutare tutte le onde più gonfie che si fossero accostate; finché non cadde sotto l’urto di queste. Si sarebbe salvato se non avesse buttato via la sua dignità”.

E’ una situazione confusa. Ci sono esponenti  del PD che saltano sui tronchi, altri su  qualche piccolo naviglio. Nel partito neoconfuciano si lotta per i posizionamenti sull’argine. Ognuno ha una postazione, con i suoi difensori. Non c’è nessuno che si impegna a rallentare le acque, ripulirle, cercare di indirizzarle. Insomma un grande caos e la delegazione è ripartita per la Cina per chiedere ancora una volta: Che fare? Ed è tornata piuttosto delusa. Pochi hanno voglia di parlare. La salvezza indicata negli insegnamenti di Confucio richiede un lungo percorso. “Disperdetevi tra il popolo per ascoltare e capire”; “Chi è ignorante e vuole condursi di testa proprio sarà colpito da sventura, e a maggior ragione sarà colpito dalla sventura il popolo che lui pretende governare”. Di qui l’appello: “Studiate come se la conoscenza fosse irraggiungibile, come se temeste di perderla”. L’obiettivo è cambiare, correggersi: “Se uno ci riesce non avrà difficoltà nel governo. Se non arriva a correggere se stesso come farà a correggere gli altri?” Un necessario punto fermo è costituito dalle parole. “E’ assolutamente necessario ridare ai nomi il loro vero significato – dice Confucio – Se i nomi non sono corretti, le parole non corrispondono alla realtà, se le parole non corrispondono alla realtà gli affari non giungono a compimento… via via non si sviluppano le arti, la giustizia non è amministrata…” E il popolo non sa “come muovere le mani e i piedi”.

“Ma c’è una parola, uno slogan, un concetto che possa aiutare a evitare il crollo, la decadenza di un regno?” Questa la domanda, nell’ultimo viaggio in Cina, di un membro della delegazione al maggiore interprete di Confucio. Ecco la risposta: “L’arte del governo è difficile..Se il Principe dice cose buone e nessuno lo contraddice è un bene. Ma se dice parole cattive e nessuno lo contraddice… Non è questo l’inizio della rovina di un regno?”

 

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