La Capitanata orfana senza Conte? Ma pure Draghi ha un legame… all’ombra di Menichella.

CULTURA

“Chiedo a te: che cosa ha fatto Conte per la Capitanata? Niente” “Ora, però, con i soldi dell’Europa… un occhio di riguardo lo avrebbe avuto”

C’è l’opinione che la nascita, il legame anagrafico, i deputati della propria terra… debbano poi lasciare qualche segno. Spesso sono illusioni. Anche Draghi ha con la Capitanata un legame esile, indiretto… ma significativo.

“Mio padre cominciò la sua carriera con Donato Menichella (avevano la stessa età) negli anni venti…. Entrò in Banca d’Italia, ispettore di vigilanza… lasciò la Banca per l’Iri dove ritrovò Menichella come direttore generale (1934) e con lui lavorò negli anni trenta fino alla guerra. Ricordo che quando avevo solo 5 anni feci un viaggio in treno fino a Padova con Menichella, allora governatore della Banca d’Italia. Credo di essere il solo in questo palazzo (Koch) ad averlo conosciuto” Così Mario Draghi nel 2014.

Menichella! Chi era costui?  Nacque a Biccari (FG) nel 1896. Studiò nel collegio Ruggero Bonghi di Lucera, si diplomò ragioniere al Giannone di Foggia. Poi gli studi a Firenze, la guerra e la carriera nella Banca d’Italia. Accompagnò De Gasperi in America e insieme tornarono con 100 milioni di dollari. Iniziava così la ricostruzione. Fu Governatore della Banca d’Italia dal 1947 al 1960. Dal Financial Times “Oscar” come miglior governatore, e “Oscar” alla lira quale moneta più stabile. Aveva un’autorevolezza enorme in Italia e all’estero. “Banchiere avveduto e geniale”, “una sconfinata competenza”, “negoziatore paziente e infaticabile”, “conoscitore degli uomini scettico e scaltro”. Non aveva una buona opinione del capitalismo italiano. “Tanto paga Pantalone”, era solito dire per la malattia atavica dello Stato di coprire le perdite dei privati. Era convinto che per il Sud ci voleva una specifica azione propulsiva attivata dallo Stato: fu tra i fondatori della Svimez nel 1946 (Associazione sviluppo Mezzogiorno), “l’inventore” della Cassa per il Mezzogiorno.

Nella primavera del 2008, presso il Teatro Comunale di Manfredonia, sono andati in scena quattro spettacoli teatrali su figure importanti del Sud. Un progetto del Ministero dello Sviluppo Economico: una forma originale di teatro politico, per avviare una riflessione sul Mezzogiorno, non un luogo geografico, ma mondo culturale vivo, che non attende la salvezza dall’esterno ed è capace di dare un contributo autonomo allo sviluppo dell’intero Paese. Nitti, Sturzo, Di Vittorio, Menichella possono essere ancora oggi un punto di riferimento per un nuovo meridionalismo.

Lo spettacolo più vivo e sorprendente fu quello su Donato Menichella: personaggio schivo, discreto (mai interviste), dà un contributo fondamentale all’elaborazione e attuazione della politica economica del dopoguerra, inserendo l’Italia nel sistema economico internazionale. Nell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, De Gasperi, presidente del Consiglio, trova discutibile il nome: “Ecco, io non vorrei che Cassa desse troppo l’idea che i soldi sono lì, che basta allungare la mano”. Menichella risponde di condividere una linea di prudenza. “Eppure, da meridionale, sento che lo Stato con il Sud deve fare un patto in cui ci sono due clausole. Da una parte la serietà della spesa, la selezione rigorosa delle cose che si finanziano, dall’altra la serietà nel dare, cioè che i soldi promessi poi vengano dati davvero (perché molte volte è successo il contrario). Questo nome Cassa sarà un segno, per i meridionali, che ci sono i denari, che le promesse diventano realtà”. Al centro degli interventi ci sono le strade, le vie di comunicazione, lo sviluppo dell’agricoltura, le applicazioni dell’elettricità… Ai finanziatori americani che si lamentano che non spende in fretta le valute estere ottenute, egli difende la sua linea di prudenza e un’idea di crescita intesa come processo di lungo periodo. 

Una figura complessa che pochi conoscono. Un “tecnico” pienamente al servizio del Paese e della cosa pubblica, e capace di compiere scelte personali esemplari e coraggiose (nonostante le perplessità dei familiari). Allo spettacolo si è aggiunta la testimonianza del figlio: ha raccontato che il padre, come direttore dell’IRI, si ridusse nettamente il compenso, chiese e ottenne una forte riduzione di stipendio e pensione di Governatore della Banca d’Italia. Mai consulenze o altri incarichi remunerati. Rifiutò le proposte autorevoli e le aspettative di quanti lo avrebbero voluto al Quirinale.

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