Siamo tutti malati. Abbiamo bisogno di tanta psicoterapia o non di tante chiacchiere?

SOCIALE

E’ allarme salute mentale. Il disagio è una malattia, se diamo retta ai numeri. Anche in questo caso si propone un bonus, una sorta di risarcimento… non si sa per cosa.

Ma non stiamo estendendo l’area del disagio o meglio stiamo confondendo una situazione specifica di malessere, fatica a vivere il tempo presente (e che appartiene alla condizione umana) con la malattia? Non stiamo chiedendo a professionisti ciò che non possono dare? Serve davvero la psicoterapia e non la rete degli amici, parenti, colleghi, vicinato… Qualche professionista si rende conto di avere sopravvalutato il proprio ruolo. Nel passato con le paure, le ansie si conviveva. Celentano in “Azzurro” canta un senso di vuoto, una mancanza, non c’era “neanche un prete per chiacchierare”. Allora i preti avevano tempo e buon senso… Cosa sarebbe delle persone anziane e sole se non ci fosse la “Confessione”, se di fronte a un lutto, una malattia non ci fosse il prete? Forse abbiamo esagerato sulla solitudine nel lockdown e non abbiamo guardato alle persone anziane che con la solitudine convivono sempre. Nel passato si sbagliava per difetto, si sottovalutavano i problemi, ora il contrario, si cercano traumi nascosti.

Il fenomeno precede la pandemia. Al Centro salute mentale di Manfredonia (distretto sanitario di 70.000 abitanti) si avvicinavano un migliaio di persone, molta ansia veniva dalla scuola. Non è che anche lì abbiamo esagerato con diagnosi varie e medicalizzato tutto quanto era possibile? Non voglio sottovalutare una professione importante, ho già detto che nella scuola dell’obbligo la figura dello psicologo sarebbe utile, come un punto di incontro, di dialogo e domande… Non certamente per fare da mediatore nella relazione educativa tra docente e alunni o genitori!

E’ pericoloso a livello sociale una perdita di accettazione dello stress e del disagio come cose della vita. Anzi è propria di una società aperta non medicalizzare frustrazioni e fallimenti e permettere ai disagi individuali di mettersi insieme e divenire passione civica e politica.

Di cosa abbiamo bisogno? Quando mi recavo da mia madre mi chiedeva tante cose, del governo cittadino e del mondo. Erano le voci dei suoi incontri occasionali. La sua sofferenza maggiore era quando non poteva andare al mercato per il tempo cattivo o per motivi di salute. Heidegger (“Essere e tempo”) parla della chiacchiera, un “fenomeno positivo” che costituisce la nostra quotidianità. Infondata, non permette l’analisi, il riesame… Eppure la chiacchiera, i pettegolezzi sono forme di drenaggio emotivo. Per prendersi cura del mondo, le emozioni devono manifestarsi, portarsi fuori. Anche ansie e paure. Quando sono impedite, covano dentro, diventano angoscia e disperazione.

Ciò che entra nello studio dell’analista è la strada… Il nostro lavoro è con la gente della città, e la città è nell’anima dei nostri pazienti” (Hillman). Non l’Ufficio, l’Ospedale, la Scuola … dove i ruoli sono definiti. I luoghi informali (pianerottoli, cortili delle scuole, mercati, file di attesa…) permettono di scaricare tensioni e frustrazioni, di parlare senza restrizioni e autocensure. Non vi è gerarchia o quel poco che vi è si fonda sulla capacità di rispettare le norme del vivere civile. In questi luoghi sono apprezzati l’umorismo e le forme verbali creative. Insomma la conversazione è più disinibita e teatrale, come si vedeva un tempo nei piccoli negozi, nelle strade… quando le informazioni circolavano veloci, tra ironia e paradossi, uno spaccato di abitudini e giudizi, ma anche molto buon senso.

Fin dall’inizio mettersi insieme era istintivo per gli esseri umani. Gruppi di case e città nascevano dall’esigenza di stare insieme, parlare, scambiare cose, condividere paure, immaginare… Sono importanti musei, auditorium, teatri, centri polivalenti… importanti i grandi eventi… Ma lo sono altresì i luoghi dove ci si può incontrare, sostare. “Per la vita della città sono enormemente importanti quei luoghi dove si può chiacchierare” (Hillman). Si racconta quello che succede e quelle parole libere sono la vita stessa della città… chi ha visto chi, dove, cosa c’è di nuovo, cosa succede… La vita cambia in fretta, e poi c’è il “villaggio globale” che incombe.

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