Accolti con generosità. Purché restino invisibili.

CULTURA

Sono le vicende che si svolgono in modo ripetitivo quelle che sfibrano e fanno emergere una paura sottile, la sensazione che non finirà mai. In questo periodo sono arrivati molti giovani che o studiano o lavorano fuori e la prima cosa che chiedono è “un pensiero” su quanto sta accadendo in Europa, quasi meravigliandosi della tranquillità che registrano qui. Certamente vivere a Torino, Bologna, Milano, Brescia… con una grande presenza di stranieri, luoghi di culto… comporta una maggiore apprensione e preoccupazioni.

Stato di emergenza, sorveglianza dei luoghi sensibili, uso dell’esercito, espulsioni immediate… sono parole che non rassicurano e ci si rende conto che le forze di polizia possono fare molto, come controllo e prevenzione di atti criminosi, ma non basta. Molto possono fare le comunità islamiche, non solo prendendo le distanze, ma segnalando e denunciando. Anche il lupo solitario è meno solitario di quello che si crede. Qualcosa, però, si muove e la reazione in Francia sembra avere preso una nuova strada.

La presenza degli immigrati nel Sud è più ridotta rispetto al Nord. Questa presenza in molti luoghi è stata finora invisibile. Una invisibilità che ha fatto comodo a molti: alle popolazioni immigrate che hanno mantenuto una forte coesione etnica e risolto molti problemi al loro interno, alla politica e ai vari pubblici servizi perché non hanno affrontato interventi di sostegno, e quindi non hanno dovuto rispondere a tutti coloro che lamentavano  l’aiuto concesso agli stranieri e non agli italiani.

Una lezione che bisogna trarre da quanto sta avvenendo e avverrà è che devono essere visibili, devono essere seguiti, si deve capire di cosa hanno bisogno. Soprattutto i minori.

L’accoglienza non basta. In Europa si seguono strade diverse: ci sono coloro che perseguono solo la via delle paure e dei muri, coloro (Germania) che utilizza i nuovi arrivi per avviare processi virtuosi di sviluppo economico, e chi, come l’Italia attua una accoglienza generosa, ma senza politiche e strategie di integrazione.

Una integrazione che non può non avvenire senza la partecipazione delle singole comunità e dei singoli territori.

Credo che bisogna far funzionare quello che c’è. A Manfredonia è arrivato nel 2004 il primo progetto in Capitanata di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo (Sprar), poi la Casa dei diritti… Ogni intervento ha suscitato inizialmente minacce, rifiuti, polemiche, con l’accusa che si pensava solo agli immigrati. Si rispondeva che i soldi venivano dall’Europa e di soldi ne sono arrivati parecchi: 5 – 6 milioni di euro tra Progetto rifugiati, Casa dei diritti, Camper. Si è poi aggiunta l’ospitalità della Casa della Carità. Vi è la presenza storica degli Scalabriniani. A Foggia c’è una presenza ancora più variegata (associazioni, luoghi di accoglienza…) e sono nate iniziative di integrazione e lavoro. I progetti Sprar infine si stanno diffondendo nel resto della Capitanata. Tante iniziative che dovrebbero essere collegate da comuni strategie.

Per molti anni a Siponto (presso la casa Scalabrini) ha funzionato la festa di popoli: film, concerti, incontri… C’era una rete ampia e si credeva che quella esperienza dovesse essere recuperata e sviluppata nella Casa dei diritti (inaugurata 2 anni fa con la presenza di un Imam e del Vescovo della diocesi). Purtroppo non è stato così.

E’ utile e necessario alla luce di quanto avviene in Europa interrogarsi sulla qualità degli interventi, sui risultati e sulle difficoltà. Soprattutto su quello che si fa per i minori, che sono aumentati in modo straordinario (dagli inizi dell’anno sono arrivati in Italia oltre 10.000 minori soli); nel Tavoliere non si sa nemmeno quanti siano. E si parla sempre più frequentemente di pericoli di sfruttamento e speculazione.

 

 

 

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