Se dubitate della mia onestà o pensate che io faccia parte di consorterie…

CULTURA

Il problema delle classi dirigenti è perenne nella storia degli Stati. E’ presente in modo impellente all’indomani dell’Unità d’Italia. Francesco De Sanctis (1817 – 1883) scrittore e critico, letterato e uomo politico dalla forte passione civile, si adoperò perché si creasse, nell’Italia Unita, una nuova classe dirigente del Sud. Fu candidato nel collegio dell’Irpinia (era nato a Morra Irpina 200 anni fa) e di San Severo (Foggia) e scrive su quell’esperienza un piccolo e vivace libro: Un viaggio elettorale. Allora gli elettori erano appena il 2% della popolazione e un candidato poteva, nella campagna elettorale, incontrarli tutti.

De Sanctis è un politico della Sinistra di allora, che parla chiaramente agli elettori: non vuole creare illusioni o promettere quello che non si può mantenere. Non nasconde le responsabilità nel Sud, dove non mancano le idee, ma lenta è l’esecuzione dei programmi, per il maggiore peso dei gruppi di potere. “Il potere ci piace come potere e ne facciamo volentieri sfoggio e abuso, e ci appoggiamo a piccoli gruppi di amici e consorti piuttosto che a partiti, a partiti che alla nazione”. Poi bisogna fare i conti con “l’immensa e salda schiera degli impiegati che costituiscono la potentissima burocrazia; sono gli agenti del potere… sono gli amici, gli aderenti, i protetti, i protettori, i compari, intorno ai quali fanno pressa uomini che si dicono liberi e gridano a piena gola libertà, e si corrompono a vicenda, sollecitatori, sollecitati e sollecitanti”.

La situazione è preoccupante nel Sud per il diffuso analfabetismo e le relazioni di dipendenza e subalternità. Può aiutare a cambiare le cose il contatto continuo tra eletti ed elettori, ma è necessario un atteggiamento nuovo nei confronti della cosa pubblica. “Non poniamo nelle faccende pubbliche lo stesso ardore e interesse che nelle private, non abbiamo sufficiente iniziativa e attendiamo tutto dal governo, perché vogliamo la legge rispettata dal governo, e siamo noi poco inchinevoli a rispettarla… perché mentre gridiamo contro il favoritismo e gli intrighi mettiamo le nostre speranze talora più nell’uso delle raccomandazioni, degli intrighi e delle vie oblique, che nella giustizia della nostra causa”.

Sa quanto è complessa la libertà, quanta responsabilità richiede. “Libertà suppone un complesso d’idee, di costumi e di abitudini che non sopraggiunge d’un tratto, ma per lento svolgimento della vita sociale. Non vogliate però tirarne per conseguenza la teoria dei popoli maturi e non maturi… Un popolo è sempre maturo al vivere libero. La libertà si impara con la libertà”. Francesco De Sanctis (al quale è intitolata una scuola anche a Manfredonia), fu ministro della Pubblica Istruzione e concepì la scuola come luogo di formazione morale e politica.

La buona politica la fanno gli elettori. Essi possono valutare l’onestà, le competenze, chi guarda agli interessi generali e chi fa parte di clan e gruppi di potere, chi vive di politica e chi vuol dare un contributo a sollevare le sorti del popolo. Nel manifesto agli elettori del 1865 dice: bocciatemi, non votatemi “se dubitate della mia onestà, se trovate che io sia stato uomo sottomesso al potere o alla piazza, se trovate che sia stato anche io parte di quelle consorterie o chiesuole, che tutti giustamente condannano e che mi sia fatto guidare da spirito esclusivo e particolare… ”.

Sostiene che i candidati debbano fare una professione di fede. Molti, dice, la reputano una umiliazione, “io ho sempre sostenuto che è dovere di tutti fare la loro professione di fede, perché tutti si debbono inchinare alla sovranità degli elettori”. La professione di fede è un impegno morale, una solenne pubblica promessa: le cose che l’eletto intende fare, gli atteggiamenti da assumere… Può servire?

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