L’alternanza utile e necessaria, e i progetti spezzati di Bob Kennedy e Aldo Moro.

CULTURA

Il ricambio delle classi dirigenti è vitale per la democrazia rappresentativa, ed è normale che città e paesi mutino maggioranze. In Italia stentiamo a riconoscerlo. Abbiamo avuto una democrazia bloccata per decenni e un quadro internazionale che non consentiva l’alternanza, e questo sembra condizionarci ancora.

La storia si fa con i se e con i ma. Ogni popolo, ogni periodo storico ha i suoi sentieri interrotti, percorsi spezzati che ci dicono quello che potevamo essere. La figlia di Bob Kennedy ha detto nei giorni scorsi: “se non fosse stato ucciso 50 anni fa, noi non ci troveremmo al punto in cui siamo. Saremmo un paese diverso“. Bob Kennedy era contro la guerra in Vietnam, aveva  progetti avanzati per colmare le ingiustizie sociali e stabilire un nuovo equilibrio nel mondo. “Un’America imbottita d’oro… circondata da nazioni povere e disperate, non potrebbe né garantire la propria sicurezza né perseguire un percorso di civiltà“. Per lui il progresso non è solo economico: la gioventù americana vive un ampio benessere, “ciò che le manca è sapere a cosa serve questo benessere”. E poi lotta alla corruzione, al razzismo… Dopo la sua morte un’altra storia: corsa agli armamenti, disuguaglianze crescenti…

Moro non aveva il carisma di Kennedy. Uomo politico dai lunghi interventi, dalla prosa involuta, ma con alcune profonde convinzioni: la fragilità della democrazia italiana, la gradualità dei mutamenti, il valore pedagogico della Costituzione. Aprì al centro sinistra (un discorso di 6 ore al congresso DC), con l’opposizione di esponenti democristiani e della Chiesa (il cardinale Siri e i gesuiti della Civiltà Cattolica). I primi anni Settanta furono difficili: crisi petrolifera, colpo di Stato in Cile, fine delle dittature in Portogallo e Spagna, e in Italia il terrorismo, il referendum sul divorzio, le denunce di Pasolini…  Berlinguer proponeva il Compromesso storico, iniziava a staccarsi dall’Urss, poneva la questione morale come priorità.

Nel congresso della DC del 1976 parlò della necessità di avviare una “terza e difficile fase”. Dopo le elezioni di quell’anno, i cui i vincitori furono DC e PCI (insieme superavano il 73%, con il 93% dei votanti), Moro preparava, in un quadro istituzionale e internazionale condiviso, l’alternanza di governo. Sapeva che bisognava fare in fretta. Nel 1975, in  alcune grandi città i comunisti andarono al governo, e il dibattito sulla necessità di un ricambio era vivace: “Non vi è alcun gioco che stabilisca che soltanto una delle parti debba sempre vincere. Un gioco in cui non vi sono almeno due parti in conflitto non è un gioco ma un solitario…” (Bobbio)

Moro sapeva bene che la mancanza di alternanza stava distruggendo il suo partito e la società civile italiana. Con la sua morte il processo si bloccò. Da allora, una democrazia incompiuta, riforme mancate, debito pubblico enorme, una architettura istituzionale fragile, un declassamento progressivo dell’Italia rispetto agli altri Paesi…

A Manfredonia da 50 anni (salvo brevi interruzioni) governa la sinistra, e da 20 il medesimo gruppo dirigente. Gli ultimi anni hanno visto le stesse persone ruotare in spazi ristretti, conflittualità interne, arroccamento delle posizioni. Sempre più marcato è il controllo del voto e la formazione di clientele… L’allargamento delle maggioranze, la moltiplicazione di liste, le primarie servono solo per rafforzare gruppi di potere. L’alternanza non è un obbligo. Ma una grande opportunità. Per attuarla ci vogliono progetti e servono idee, nuove e originali… per la città che verrà.

La Chiesa ha avviato per Aldo Moro un processo di beatificazione. Egli conosceva e ha coperto scandali, deviazioni e compromessi inconfessabili. E’ stato però un grande uomo politico. Manca in Italia un albo dei politici giusti e lungimiranti. Lui è uno dei pochi del Novecento.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn