Utoya. La strage che molti fanno fatica a ricordare. Ed è a noi così vicina.

CULTURA

Utoya, un’isoletta di 12 ettari a 40 chilometri da Oslo, donata negli anni Cinquanta al partito laburista norvegese, che ne ha fatto un luogo di formazione politica e di scambio culturale per i giovani. Si può raggiungere solo con la barca.

Sette anni fa, il 22 luglio 2011, alle 15, 25 inizia la strage. Prima un’autobomba presso la sede del governo a Oslo. Un contrattempo impedisce di arrivare prima, e gli uffici sono deserti (è venerdì). Muoiono 8 persone, forse è un diversivo. L’attacco vero si sposta nell’isoletta di Utoya, dove si sta svolgendo un campo estivo per giovani laburisti. Alle 17,30 inizia la caccia, 69 ragazzi uccisi. Scappano, si nascondono terrorizzati, ma vengono stanati, guardati in faccia e ammazzati con un colpo alla testa, uno per uno. Chi tenta di salvarsi a nuoto, annega in breve tempo, “l’acqua gelida è un’arma di distruzione di massa”. Il massacro termina dopo oltre un’ora con l’arrivo della polizia.

L’autore (Anders Behiring Breivik) è un uomo di 32 anni, di buona famiglia, non gli è mancato quasi nulla. Studi regolari. Esperienze di lavoro nel settore finanziario con guadagni rilevanti.

Breivik al processo è dichiarato sano di mente ed egli stesso dice che avrebbe fatto appello se il tribunale non avesse riconosciuto le ragioni politiche del suo gesto.

Scrive, durante la detenzione, in perfetto inglese un compendio delle sue idee, centinaia di pagine. Non sono farneticazioni. Sono posizioni chiare, lucide, “ragionevoli”, che sentiamo quotidianamente intorno a noi.

La lotta politica non sarà più tra destra e sinistra, capitalismo e socialismo, ma tra chi difende i valori occidentali e chi no, tra chi vuole la sovranità nazionale e chi preferisce il globalismo, l’Onu, l’Unione europea, il multiculturalismo. L’Islam è un’ideologia fascista, non è una cultura, è barbarie, e gli islamici devono essere espulsi. Indispensabili per Breivik il libero accesso alle armi (con l’adozione di una legislazione simile a quella statunitense), e la  riforma della democrazia: il voto di uno spacciatore non può essere uguale a quello di Madre Teresa, né i governi durare così poco, ossessionati dal consenso e incuranti del deficit e del bene comune. E continua sulle donne, la denatalità, i marxisti…

L’odio viscerale non è contro i musulmani, i quali, compensati con un chilo d’oro, dovranno trasferirsi nei paesi di origine, ma nei confronti dei multiculturalisti, i socialdemocratici, i giovani. Una strage che apre molti interrogativi. Borghezio, eurodeputato della Lega, condanna l’azione, ma sostiene che, al netto della violenza, Breivik ha buone idee, anzi ottime. Polemiche all’interno della Lega, ritrattazioni poco convinte… poi su questo eccidio di un “fondamentalista cristiano” cala il silenzio.

Luca Mariani scrive un libro nel 2013 in cui ricostruisce la vicenda, racconta i lati oscuri, presenta le giovani vittime… Un libro necessario, che oggi è ancora più attuale. Di Utoya se ne deve parlare. Perché intorno a noi ci sono atti di violenza stupida e vile contro persone innocenti, definiti goliardate. “Non è razzismo”, si dichiara con soddisfazione. Se ne deve parlare perché c’è un clima di rifiuto, di chiusura, contro la “società aperta” (o la sua caricatura!). Molte affermazioni di Breivik si sentono normalmente in giro. In molti luoghi c’è opposizione e rifiuto per la presenza anche di pochi migranti; a Manfredonia  ci fu, qualche anno fa, una rivolta per l’arrivo di alcuni rifugiati o per l’apertura della Casa dei diritti… Incontro frequentemente molte di queste persone… ci parlo, provo a discutere… Forse è l’unica cosa da fare. Mancano luoghi dove dialogare, persone significative, che senza supponenza ascoltino e non si girino dall’altra parte. La politica, arte della mediazione e del possibile, è scomparsa, l’hanno fatta odiare, è divenuta (basta guardarsi attorno) esercizio di arroganza e scambio clientelare. La cosiddetta accoglienza è ridotta a un poco nobile affare. Una ruspa è passata, e lo spazio è occupato da una lingua, che ha, come unica proposta politica, la gestione delle paure alimentate e provocate.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn