Crisi del Sud e autonomia del Nord, dove non ci sopportano più

CULTURA

Proprio così. Non ci sopportano più, per i nostri lamenti, perché diamo sempre la responsabilità ad altri, perché privilegiamo le vie oblique…

Nell’autunno scorso in Lombardia e nel Veneto si è votato sull’autonomia differenziata, riguardante alcune nuove materie, per trattenere fondi e investire di più nei loro territori. Reazioni nel Sud un po’ guascone un po’impaurite. Emiliano si è affrettato a comprenderne le ragioni e ha aggiunto che il Settentrione non può continuare a “mantenere” il Sud. Qualche altro governatore pensa di chiedere l’autonomia per la propria regione. Qualcuno si difende: ciò che è trasferito al Sud viene utilizzato per acquistare i prodotti del Nord… lo sviluppo delle regioni settentrionali avviene anche per merito di giovani laureati del Sud… Ci sono petizioni, inutili e generiche, firmate da tutti: esponenti di maggioranza e opposizione, federalisti e neoborbonici ed anche da chi afferma che ormai il paese è già diviso.

Si ammette che l’autonomia differenziata accentuerà il distacco e che il Nord, avendo infrastrutture sociali ed economiche più efficienti ed anche governi territoriali più efficaci, correrà ancora più veloce. Forse potrebbe essere il momento per chiedersi come mai lì c’è più efficienza.

La crisi ha provocato un brusco arretramento nel Meridione e i tagli alla spesa pubblica hanno prodotto uno scossone dal quale non si riesce ad uscire. Le classi dirigenti, abituate a basare il consenso nella distribuzione particolaristica delle risorse, sono smarrite e impaurite, sulla difensiva, poco propense a favorire trasparenza e concorrenza, ed anche a contrastare forme di economia criminale… Non è l’occasione buona per parlare di questo?

Il quadro nel Sud è fosco: economia criminale (in Puglia 133 clan in 113 città e poche aree sono libere), corruzione e clientelismo, assenza di una borghesia civile, territori (Capitanata) carenti di organi di informazione, assenza di dibattito e critica… E il Nord? Deve fare i conti con gli stessi problemi di corruzione e penetrazione della criminalità, ma lì ci sono anticorpi “fatti di istruzione e cultura, di scuole di livello e biblioteche vissute, di reti civiche e beni pubblici animati dal basso” (E. Felice). Si avverte un senso più forte delle regole, burocrazia più competente, servizi sociali e culturali che funzionano, cultura del merito, maggiore attenzione all’innovazione.

E’ stata svolta una indagine (riportata nel libro Buona notte Mezzogiorno) con un campione significativo delle classi dirigenti meridionali (politica, economia, cultura): le cause del fallimento sono addebitate al ritardo culturale e dentro c’è tutto, assenza di spirito pubblico, logiche di appartenenze (clientele e parentele), scarsa cooperazione… insomma inadeguatezza degli attori meridionali. Tante le diagnosi ma poche le soluzioni. Se non un “rimbocchiamoci le maniche”. Per tutti non si può tornare indietro, il “localismo virtuoso” non è in discussione, ma la strada è lunga e lo sviluppo dal basso richiede senso civico e cultura, formazione e scuole, partecipazione e legalità… ma si afferma la necessità di un nuovo ruolo dello Stato, per controllare l’uso delle risorse pubbliche destinate al Sud, investire nella ricerca, potenziare servizi e strutture ordinarie (istruzione e trasporti), e l’urgenza di un rinnovamento del ceto politico, con figure nuove del mondo produttivo, delle professioni… Qui è il dramma. Dove si trovano? Con 300.000 laureati andati via negli ultimi anni?

Ho ascoltato il racconto di una persona del foggiano ricoverata 7 anni fa in un ospedale dell’Emilia in condizioni disperate. In quindici giorni è stata rimessa in piedi. Competenze? Attrezzature? Semplicemente il giorno del ricovero il primario, vista la complessità della situazione, ha convocato per consulto i primari di cardiologia, endocrinologia, malattie respiratorie… Qui primari gelosi, autonomi, indisponenti. Lì riunioni quotidiane per capire come procedere… Hanno trovato il bandolo della matassa, con un buon metodo di lavoro. Quella che potremmo chiamare intelligenza collettiva. La conclusione: “Mi sento più cittadino lì che non qui”.

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