Giorgia cambia l’Europa. Ursula la segue. Alì dagli occhi azzurri guarda da lontano.

SOCIALE

Si parla di “momento Meloni”, si avanzano confronti con la Merkel. Molti osservano e le sue scelte potrebbero essere imitate.

Su questioni importanti (svolta energetica, clima, bilancio…) Giorgia rallenta, si astiene, rinvia. E’ invece in prima fila sull’immigrazione: affidare la gestione dei migranti ai governi autoritari dell’Africa. Nel luglio dello scorso anno la presidente del Consiglio è andata in Tunisia per un accordo che tende a ridurre le  partenze verso l’Europa e a marzo ha fatto la stessa cosa per l’Egitto. Al suo fianco la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha condiviso il piano per le relazioni tra l’Africa e l’Unione presentato dall’Italia. Mentre le commissioni europee e i governi discutono e litigano per concordare nuove regole per i migranti che sbarcano, l’Italia lavora per ostacolarne l’arrivo. Su questo tema si adeguano le altre forze di destra e dell’ultra destra europea. I sondaggi dicono che saranno più forti del passato. Hanno messo da parte la promessa di sciogliere l’Unione, mirano a creare un’Europa civilizzatrice, da sostituire a quella tecnocratica della attuale Commissione.

Nel Mediterraneo, comunque, arriveranno migranti, se pur meno dall’Africa, dai paesi asiatici. Come evitare gli sbarchi, gli scontri con le Ong? Anche qui Giorgia tira fuori un uovo di Colombo. Costruire due campi di permanenza rimpatri (Cpr) in Albania per 3.000 persone, 36.000 all’anno: tutti maschi adulti, dopo essere stati smistati in acque internazionali. Le richieste di asilo saranno esaminate entro 28 giorni e si prevedono 2.000 rimpatri al mese. Dove non si sa. Non possono, infatti, essere rimpatriati senza l’accordo con i paesi di provenienza o consenzienti. In Albania la costruzione dei due campi ha suscitato molte polemiche: metà Parlamento (socialisti) è contraria, e la Corte costituzionale albanese si è pronunciata con 5 voti a favore e 4 contrari. In Italia nessun dibattito. La sinistra è isterilita, grida scandalizzata che Giorgia non si definisce antifascista, ma è ferma alle definizioni nominalistiche e non alla sostanza delle questioni.

In Europa apripista sui rimpatri è stato il Regno Unito: ci sta provando da un paio di anni a scaricare gli irregolari in Rwanda. Tutte queste iniziative costano molto: l’Europa ha i soldi e paga, senza sporcarsi le mani e senza sporcare il proprio suolo. Invia armi perché altri difendano i confini, e costruisce campi di permanenza oltre i confini. E’ difficile calcolare le conseguenze di scelte che peseranno nel futuro. Nessuno si azzarda a fare previsioni, né riesce a immaginare come sarà l’Europa. E’ difficile parlare prima, e parlare dopo non serve più.

Sul problema dei rimpatri è in circolazione Il documentario di Lucio Cascavilla e Mauro Piacentini. Racconta storie disperate di deportazioni. The years we have been nowhere  (Gli anni in cui non siamo stati da nessuna parte). E’ stato presentato a settembre in decine di città e ora sta facendo un secondo tour, a Torino, Milano, Berna, Cantù… Tre giorni fa a Palermo (proiezione curata da Amnesty International), ieri a Catania (Comunità di S. Egidio). Interessante quanto accaduto a Roma, presso l’Istituto cine – TV “Rossellini”, alcuni giorni fa. Dopo la proiezione e il dibattito intenso e appassionato, prende la parola una persona anziana.

Recita  a memoria una lunga poesia di Pasolini: Ali dagli occhi azzurri. Alì “uno dei tanti figli di figli / scenderà da Algeri, su navi / a vela e a remi, Saranno /con lui migliaia di uomini… Su navi varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini… Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, / a milioni, vestiti di stracci / asiatici, e di camicie americane… saliranno / a Napoli, e da lì a Barcellona, / a Salonicco e a Marsiglia… / Essi sempre umili, deboli, timidi, infimi… dietro ai loro Alì dagli occhi azzurri…”

E’ Silvio Parrello, “er pecetto”, uno dei “ragazzi di vita” di Pasolini. E’ citato nel primo capitolo del libro. Il padre era chiamato “pecione”, il nome che si dava ai calzolai, perché utilizzavano lo spago impastato con la pece per cucire la suola delle scarpe. E siccome lui era piccolo, “pecetto”. Faceva parte di quel gruppo di ragazzini con cui Pasolini si intratteneva, giocava a pallone e intanto li osservava, li studiava e poi ne ha descritto le “gesta quotidiane”, il linguaggio, la miseria senza riscatto. “Ragazzi di vita” è il romanzo delle borgate romane. Era il 1954. Il titolo della poesia è Profezia, scritta nei primi anni Sessanta.

Profezia non è fare l’indovino, ma scavare nel presente, vedere quello che accade senza paraocchi e senza lenti rosse o nere. Noi parliamo sempre dopo: migrazioni, guerra, pandemia, mafia… Non abbiamo più l’immaginazione capace di intravedere le cose prima che accadono. Una assenza che scontiamo ovunque. In Europa, poi, all’assenza di un pensiero immaginativo e compassionevole, le élite aggiungono la supponenza, esaltando “valori europei” che vengono quotidianamente svuotati.

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