E Steve Jobs disse: Siate folli! Ma ora un pizzico di follia spetta allo Stato nei confronti del Sud.

CULTURA

Tutti sanno di Steve Jobs, che, nella sua celebre lectio magistralis del 2005 a Stanford invitava i giovani a essere hungry e foolish, cioè affamati di cose nuove e avventati nel perseguirle.

Pochi, però, hanno sottolineato che la foolishness di cui parlava Jobs “aveva cavalcato in buona parte l’onda lunga delle innovazioni finanziate e dirette dallo Stato” (Mazzuccato)

Nel 2012 l’Economist scriveva: “I governi dovrebbero limitarsi all’essenziale: scuole migliori per una forza lavoro qualificata, regole chiare e un campo da gioco uguale per tutte le imprese di ogni genere. Il resto lasciamolo ai rivoluzionari”. Per favorire la ripresa si deve ridimensionare lo Stato e il settore privato si espanderà, questa l’idea “rivoluzionaria”. Questo ci è stato ripetuto fino alla noia: una lunga retorica sul privato dinamico e innovativo e il  pubblico lento, immobile, incapace di essere motore di sviluppo. Per cui si richiede allo Stato di creare le condizioni ambientali (infrastrutture), assicurare la formazione e la legalità, e poi mantenersi un passo indietro per permettere al settore privato di espandersi.

L’intervento dello Stato nell’economia e nel Sud non può essere un tabù. Prima del reddito di cittadinanza si dovrebbe pensare alla situazione economica del Meridione, che arretra fortemente e condiziona l’intero paese. Il Reddito di Cittadinanza per avere una prospettiva non assistenziale non può prescindere dallo sviluppo e dalle possibilità di lavoro, che sono la priorità. La fretta e il bisogno di arrivare prima delle elezioni europee, invece, lo stanno trasformando in qualcosa di simile ad un esteso voto di scambio, quale abbiamo avuto nel Sud nel passato. Come finirà? Ci sarà una piccola ripresa dei consumi interni, qualche occupato in lavori “inutili”… e si griderà al successo. Il Reddito di Cittadinanza sarà un fuoco di paglia, che poi presenterà il conto. 

Un intervento dello Stato, quindi, sarebbe necessario, ma non per rispolverare un ruolo tappabuchi e attuare processi già visti che non hanno dato buoni frutti, ma per aiutare a ritrovare nuove visioni di sviluppo: infrastrutture vere e funzionali, sostegno all’introduzione di elementi di forte innovazione e ricerca nelle Università meridionali, potenziamento delle imprese tecnologicamente avanzate, integrazione tra turismo, cultura e agroalimentare, cooperazione tra regioni.

I tempi attuali presentano sfide economiche globali, squilibri territoriali e il Sud non può farcela da solo; lo Stato può garantire la ripresa, perché ha uno sguardo più ampio, capace di non ricercare risultati a breve termine e di riconoscere e chiamare a collaborare gli operatori economici utili per una crescita, trainata dall’innovazione, non solo tecnologica ma anche nell’organizzazione del lavoro e nella cooperazione tra enti, istituzioni, organizzazioni pubbliche e private… Attori diversi che interagiscono tra loro in modo imprevedibile e imparano gli uni dagli altri. Nel Sud c’è bisogno di creare le condizioni giuste per far emergere buone idee e per una crescita duratura, ma anche inclusiva e sostenibile. L’imprenditorialità non consiste oggi nel mettere in piedi un’impresa, ma creare un prodotto nuovo, procedimenti innovativi e in sinergia con il territorio.

Una sfida per il Sud e lo Stato: il primo deve contrastare abusi, corruzione, clientele, il secondo costruire un sistema capace di programmare, dare fiducia, controllare l’uso delle risorse. Per compiere interventi profondi e strutturali occorre avere chiaro il ruolo del pubblico e del privato. Una distinzione necessaria per una collaborazione interdipendente e sinergica che non riduca lo Stato ad addossarsi tutti rischi mentre i vantaggi e i guadagni vanno ai privati (Mazzucato). E poi c’è la questione fondamentale: le classi dirigenti meridionali. Basta guardarsi intorno e vedere il vuoto. Che fare?  

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