La strage di Bologna e le altre. Le vittime senza giustizia. Ma la Meloni non sa tacere.

CULTURA

A Bologna quella più grande. Nessuno degli autori delle stragi ha mai confessato, tutti posti al riparo con depistaggi, fughe, protezioni.

Agli inizi di agosto, oltre Bologna ricorre il cinquantesimo dalla strage dell’Italicus, mai scoperti i responsabili. Solo due i processi conclusi: quello sulla Questura di Milano nel 1973, il cui autore, Gianfranco Bertoli (colto sul fatto), si dichiara anarchico individualista, ma è collegato con i servizi segreti. E quello per Peteano (morte di tre Carabinieri), nel 1972. L’autore Vincenzo Vinciguerra, prima latitante all’estero e poi reoconfesso nel processo del 1984. Né pentito, né dissociato, è l’unico ancora in carcere. Per i “camerati” nutre solo disprezzo: “nazisti in pubblico, in privato spioni dell’Alleanza Atlantica“. Il fine delle stragi? Destabilizzare l’ordine sociale per stabilizzare il quadro politico.

La Meloni non sceglie il silenzio. Parla da leader di destra e polemizza con Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime di Bologna. A destra non si parla di neofascismo ma di terrorismo (pista palestinese), si chiede di “desecretare” gli atti (ma le recenti lunghe sentenze sono eloquenti). In questi ultimi due-tre anni ci sono persone che si sentono libere di parlare, dopo la morte dei temuti protagonisti di quella terribile stagione, e ci sono nuove ricostruzioni di giornalisti e storici (Biondani, Dianese-Bettin, Morando, Pacini, Tobagi…).

Le associazioni dei familiari hanno avuto un ruolo importante per la strage di Milano, Brescia, Bologna. Nelle sentenze è riconosciuto il loro contributo a tenere aperte le indagini. L’Associazione del familiari di Bologna ha tenuto viva la ricerca sui mandanti dell’attentato. Ha valorizzato il filmato di Harold Polzer, un cittadino tedesco in vacanza con la famiglia e che proprio alla stazione ha girato un video alcuni minuti prima dello scoppio della bomba. Si scopre la presenza di Paolo Bellini e la falsità del suo alibi. Importante è stato il processo di digitalizzazione degli atti, e quindi la possibilità di ricercare la ricorrenza di nomi e circostanze (anche quelli non legati alla strage di Bologna), ma sempre risalenti alla destra eversiva: P2, Crack Banco ambrosiano, Italicus… Un lavoro di ricerca con consulenti, avvocati, giornalisti… che ha portato alla scoperta del documento “Bologna“, riportato (e nessuno se n’era accorto) nel libro di un giornalista britannico del 1993 (Charles Raw, La grande truffa, Mondadori).

Il “Documento Bologna” consiste di un solo foglio, accuratamente conservato da Licio Gelli. E’ ritrovato tra tante altre carte, quando il capo della P2 viene arrestato in Svizzera (13 settembre 1982). Interrogato, allora non disse nulla. Il documento scivolò nelle carte dell’Archivio di Stato. Per merito dell’associazione delle vittime viene recuperato dalla Procura generale di Bologna. Si parla di milioni di dollari per finanziare la strage. L’11 febbraio 2020 la magistratura bolognese, con la condanna di Paolo Bellini quale esecutore dell’attentato (insieme con Fioravanti, Mambro, Cavallini, Ciavardini), indica quattro persone come presunti mandanti della strage. Tutti deceduti. Licio Gelli, il banchiere Umberto Ortolani, il direttore del Borghese, Mario Tedeschi, ed infine Federico Umberto D’Amato, capo della polizia di frontiera, ex capo dall’UAR (Ufficio Affari riservati – Ministero dell’Interno).

Quel decennio terribile di piombo, tritolo, grandi trasformazioni, registra alla fine degli anni Settanta un crescendo di violenza, crudeltà, proliferazioni di gruppi estremisti e terroristi, a destra e a sinistra. A destra si creano nuove aggregazioni più fluide e meno nostalgiche del passato: Nar (Nuclei armati rivoluzionari) Mrp (Movimento rivoluzione popolare), Tp -Terza posizione.

I Nar, un piccolo gruppo che agisce nell’ambito di Roma, ragazzi poco più che ventenni. Per lo più di buona famiglia. In meno di 4 anni compiono 3000 azioni criminose e 33 omicidi. I due capi: Francesca Mambro (9 ergastoli, 84 anni e 6 mesi) e Giusva Fioravanti (8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi). I Nar definiscono la loro azione “Spontaneismo armato“. Termine usato per esprimere la loro presunta riottosità a far parte di disegni criminosi guidati da forze esterne. Eppure agiscono in contiguità con la criminalità organizzata e con i servizi deviati.

Parlano i loro omicidi mirati. Il 23 giugno del 1980, Ciavardini e Cavallini dei Nar (entrambi condannati per la strage) uccidono a Roma il giudice Mario Amato, che, alcuni giorni prima, dichiarava al Csm di essere giunto a “una verità d’insieme sul fenomeno neofascista che coinvolge responsabilità più gravi“. Per gli assassini una sentenza di morte necessaria “contro chi perseguita i nostri camerati“. Amato aveva ereditato le indagini sui neofascisti dal giudice Vittorio Occorsio, ucciso, nel 1976, da Pierluigi Concutelli (idolo di Giusva Fioravanti). “Un tribunale speciale lo ha giudicato e ritenuto colpevole di aver perseguitato i militanti di Ordine Nuovo e le loro idee” (Volantino di rivendicazione omicidio Occorsio).

La storia del processo per la strage di Bologna (e degli altri processi) è una sequela di assoluzioni, revisioni, condanne tardive inapplicabili. Tutte con un iter inestricabile e di difficile sintesi. Nessuno dei parenti delle vittime ha avuto giustizia. Come si fa a dar torto a Paolo Bolognesi? E’ difficile fare i conti con la stagione delle stragi, la teoria degli attentati indiscriminati, finalizzati a rivolgimenti istituzionali (Mario Tuti nel 1979), il tritolo a treni, gallerie, stazioni, piazze… Anche a distanza di decenni si coglie un’efferatezza e una viltà che sconvolgono. E questo la presidente del Consiglio lo sa.

In Italia nasce nel 1969 il depistaggio (nascondere prove e seminare falsi indizi). “Perdita dell’innocenza” è la bomba di Piazza Fontana, ma ancor più la scoperta dell’incapacità dello Stato di assicurare la giustizia. Un Repubblica con un doppio stato, una doppia fedeltà.



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