Mafia, infiltrazioni e interdittive. Il difficile percorso della giustizia e della democrazia.

CULTURA

L’atto di scioglimento di un comune “per mafia” entra nella storia di una città. E rimane a lungo.

Le relazioni prefettizie che lo accompagnano sono documenti importanti, materiali di grande interesse, anche di natura sociologica. Possono, però, prestare il fianco a riserve, mettono in crisi il concetto di giustizia, quando non sono accompagnate da rilievi rilevanti nei confronti di singoli esponenti politici o dell’apparato burocratico. E quando soprattutto restano “segrete”. Si è ribadito più volte che lo scioglimento è preventivo e non sanzionatorio; pur non essendoci prove o indizi a livello personale, ci sono elementi che potrebbero portare a infiltrazioni e inquinamenti. Ma tutto ciò non allevia e non chiarisce.

A Monte S. Angelo c’è stato, prima del coronavirus, un pubblico dibattito, organizzato dall’associazione “Nessuno tocchi Caino”, trasmesso da Radio radicale, sulle “interdittive” e sulla necessità che ci sia il contraddittorio durante o al termine del lavoro di indagine. Una richiesta nata da una sentenza del Tar di Bari, che ha sospeso un provvedimento su una impresa di Monte S. Angelo e ha trasferito gli atti alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, perché si pronunci su un decreto legislativo del governo italiano del 2011; in particolare un articolo dove non si prevede il contraddittorio da parte di soggetti nei cui riguardi l’Amministrazione Pubblica procede per rilasciare una interdittiva.  Il Tar chiede cioè se sia legittimo che non venga riconosciuto un principio del diritto europeo, e cioè  “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti sia adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio”.

Il Tar rileva come l’interdittiva sia uno strumento utile e necessario, per esaminare e dire che l’impresa è libera (o no) da qualsiasi condizionamento, se è capace di resistere (o no) ai tentativi di penetrazione criminale, se è in grado di scongiurare (o meno) il rischio di una diffusione di comportamenti che inquinino il tessuto sociale ed economico di un territorio e la libera concorrenza tra le imprese.

L’interdittiva anticipa la soglia di difesa sociale, garantisce una tutela avanzata contro le attività della mafia, anche solo per tentativi di condizionamento; proprio per questo non si vede perché non possano essere ascoltate le ragioni del destinatario del provvedimento, il quale non ha possibilità di mettere in campo condotte ostruzionistiche o elusive per sottrarsi al provvedimento.

Il contraddittorio nella fase procedimentale assume un’importanza rilevante ai fini della tutela della posizione giuridica dell’impresa, che potrebbe offrire argomenti utili, elementi, indizi… “Si può fare ricorso dopo“, si sostiene. Ma è lo stesso Tar ad ammettere che “è difficile che il giudizio amministrativo sostituisca il proprio convincimento a quello dell’autorità di governo, una volta che quest’ultima l’ha adottato”.

Le misure antimafia nei confronti dei comuni e delle imprese, pur con effetti molto diversi, non sono provvisorie; sono atti che chiudono il procedimento amministrativo con effetti definitivi. Il rapporto tra impresa e Pubblica Amministrazione si spezza, e questa rottura dura nel tempo, diviene permanente, e gli imprenditori escono spesso fuori dal circuito economico. Una macchia che non è emendabile. Vediamo mafiosi pentiti, terroristi dissociati e pentiti che hanno avuto sconti di pena… Non così per l’interdittiva antimafia.

E per i Comuni? Lo scioglimento resta una sconfitta per la democrazia, la sconfessione delle scelte di una intera comunità. Il lungo periodo di commissariamento potrebbe servire ad avviare una riflessione sulle candidature, il voto, le forme di controllo e vigilanza pubblica… Un’occasione per aprire il dibattito pubblico su eventuali risvolti clientelari, competenze, silenzi, omissioni, zone grigie… Tutto questo, nonostante uno strano Stato, lontano e imperscrutabile, perché la mafia c’è.

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