Uno spettro si aggira per l’Italia. Anche quelli del ’68 sono diventati vecchi.

SOCIALE

La generazione che ha riempito le piazze, acceso i dibattiti, preteso di cambiare il mondo è divenuta vecchia.

Una generazione che credeva di aver rotto con i padri e invece ha rotto con i figli lasciando in eredità un mondo inguardabile: debito pubblico, ricchezza e rendite in poche mani, mafia, clima e ambiente rovinato…

Nel 1964 Bob Dylan cantava “Venite madri e padri /da tutto il Paese / e non criticate / ciò che non potete capire /i vostri figli e le vostre figlie / sono al di là dei vostri comandi / la vostra strada sta invecchiando in fretta. / Per favore, toglietevi di mezzo….” Allora nacquero i giovani come categoria positiva che voleva sperimentare stili alternativi di vita. Nel ‘68 c’era la guerra nel Vietnam, lotte per i diritti civili, indipendenza africana… Parole nuove, nuovi slogan, portati in piazza per tradursi in un nuovo modo di vivere la vita pubblica e privata. Una generazione che aveva fretta di vivere.

Quei giovani sono cresciuti, diventati padri, nonni e sono entrati in conflitto con i figli. Hanno raccontato fino alla noia il sentimento della gioventù. Nelle occupazioni studentesche ancora oggi si parla del ’68 e si va alla ricerca di quelli che “hanno fatto il ’68″.

Una generazione ingombrante che non ha lasciato spazi culturali ai giovani successivi di inventarsi un loro modo di essere giovani; i quali non senza ragione accusano i vecchi di aver rubato il futuro. “Padri e madri, figli e figlie condividono molto di più che in passato, ma sono allo stesso tempo molto più distanti”, un conflitto generazionale sotterraneo, carsico… Non ci sono differenze nell’abbigliamento e nei comportamenti, prevale una curiosa commistione di atteggiamenti amicali e paternalismo. Vecchi e giovani. Vite parallele e non comunicanti, legati da “passioni tristi” (Aime – Borzani). La difficoltà a vivere la vecchiaia, a nasconderla ha forse radici in quei sentimenti, in quel sentirsi eternamente giovani. In un funerale una donna sessantenne, in pensione da alcuni anni, chiede quanti anni avesse il defunto. “75 un mese fa” “Ah, era giovane!”. Siamo un paese di vecchi che non si riconoscono tali.

Gli anni dopo il ’68 sono stati importanti. Un decennio che ha visto trasformazioni enormi (dallo Statuto di lavoratori ai decreti delegati, al nuovo diritto di famiglia, alla legge Basaglia, al divorzio … ). Molti di quei giovani si sono fermati, sfiancati, le delusioni del ‘77, l’eroina, i suicidi, il terrorismo, il compromesso storico… La stragrande maggioranza si è adagiata sul nuovo benessere degli anni ’80. Non hanno saputo o voluto provare la fatica della marcia dentro le istituzioni. Hanno scalato le montagne e si sono fermati di fronte alle pianure. Non hanno accettato “la lezione” delle persone più lucide di quegli anni (tra cui Moro e Tobagi), che hanno cercato risposte alle ansie di una generazione. Pericolosi riformatori abbattuti dal terrorismo..

Quella “marcia mancata” nelle istituzioni (per cui si preferiva gridare “lo Stato si distrugge e non si cambia”, piuttosto che provare a trasformarlo) ha lasciato molte domande di allora aperte.  E’ tardi per quella generazione invecchiata provare ora a “dare una mano“? Ritagliarsi qualche piccola utopia e “praticarla”? Oggi uno spettro si aggira per l’Italia e l’Occidente. L’invecchiamento. L’età media si avvicina ai 50 anni. In molti paesi africani è 18 – 20 anni. Qui è tutto il dramma. A Manfredonia l’indice di vecchiaia è passato da 75 a 160. Quindici anni fa era di 75 anziani per ogni 100 ragazzi fino a 14 anni. Oggi ci sono 160 over 65 per 100 ragazzi. Nel giro di pochi anni per ogni 4 anziani ci saranno solo 2 persone in età da lavoro. Il Sud è messo peggio. Il paragone con il dopoguerra non regge. L’Italia è incapace di recuperare la forza produttiva di allora. Da paese industriale a terminal commerciale. Il Coronavirus ha messo in evidenza alcune verità. La politica è tutta centrata sul presente e non sul futuro, sulla cura e non sulla prevenzione, sulla protezione sociale e non sull’istruzione e la ricerca.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn