Corbyn e Shelley. Un paio di cose che so di loro. E di Bruno Trentin che desiderava morire

SOCIALE

Ci sono un paio di cose di Corbyn interessanti: la conclusione della campagna elettorale con una citazione di Shelley e i tanti giovani che hanno votato per lui. Shelley, il poeta romantico che venne in Italia, “il paradiso degli esuli”, diceva. Strano come in quegli anni dall’Italia partivano esuli politici per l’Inghilterra (Foscolo, Mazzini…), e dal suolo inglese esuli romantici in Italia (Keats, Byron…). Shelley era un sognatore, utopista, ideatore di progetti impossibili che gli diedero un posto tra i precursori del socialismo (così lo considerava Marx).

Corbyn ha detto: “Non ho fatto l’Università, ma amo i libri e la poesia. Non vergognatevi di dire che amate la poesia e vi saluto con dei versi di Shelley: Levatevi come leoni dopo il torpore in numero invincibile, fate cadere le vostre catene a terra come rugiada che nel sonno sia scesa su di voi. Voi siete molti essi sono pochi”. Una campagna elettorale con poche cose chiare, coerenti (nemmeno così rivoluzionarie) e i giovani gli hanno creduto, e lui, vecchio laburista, li ha fatto sognare. In una terra dove un altro grande della letteratura, Shakespeare, ha detto: “noi siamo della stoffa di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è cinta di sonno”.

La vita di tutti gli uomini è attraversata da sogni a occhi aperti, un’ancora per non accontentarsi del cattivo presente. Non c’è mai stato un uomo che abbia vissuto senza sogni. Ed è compito della politica trasformarli in aspirazioni collettive.

Ha fatto sognare. Con le parole di una breve campagna elettorale?  Credo che valga la sua storia, coerente, semplice. Corbyn è stato eletto nella camera dei Comuni nel 1983. Non ha mai chiesto incarichi (quelli che spettano alle correnti). E’ stato impegnato in tutti i lunghi anni di Blair in molte campagne per i diritti, nei comitati anti apartheid, contro la guerra in Irak… una vita austera (usa solo la bicicletta). Tutti a Londra conoscono la sua difesa continua, come cittadino anzitutto, dei parchi, dell’integrazione, della scuola pubblica… Nessuno ha pensato a una sua espulsione, né lui ha mai pensato di andarsene. All’interno del partito laburista ci sono tante minoranze che cercano di convivere con lealtà e autonomia. Lì non ci sono scissioni. Non si vede quello che divide, ma quello che unisce. Da noi invece se ne fa un vanto delle divisioni. Si sta dentro lo stesso partito e ci si odia. Si confonde fedeltà con gregarismo, mediazione con complicità, lealtà con servilismo. E ogni comportamento viene letto con i meschini parametri dei clan. Ricordate quante le liste in campagna elettorale qui a Manfredonia e nei tanti comuni della provincia? Terminate le elezioni scompaiono.

Bruno Trentin fu segretario della CGIL dal 1888 al 1994, un periodo che vede la fine del comunismo e la crisi dei grandi partiti. Ora escono i diari. Scrive nel 1992: “Avverto un’immensa fatica fisica e intellettuale, affettiva, tanto che mi pare a momenti dovermi gettare ai margini di un sentiero e di morire, così, per esaurimento, per incapacità di esprimermi, per disamore della vita…”. E’ morto 10 anni fa. I temi su cui era impegnato: trasformare il mondo nel quale viviamo, socializzare i saperi, forme di autogoverno, il lavoro al centro. Nei diari critiche dure ai leader della sinistra, alle lotte di potere, alle “meschine ambizioni” personali. Alcuni sono ancora in scena, e quei metodi e quei protagonismi sono presenti in tutti i territori. Contano solo i destini personali e intanto, nel silenzio generale, la Capitanata muore. Perde quasi il 4% dei residenti. La più alta percentuale del Mezzogiorno, e nessuno si scompone.

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