Whistleblowing. Fuori la voce. Dieci, cento, mille soffiatori (o se preferite informatori, spie…)

CULTURA

E’ del 2010 il film Whistlebower. La vicenda di una giornalista che racconta una tragica storia vera nella guerra della ex Iugoslavia. Il traffico di ragazze che venivano violentate dalle truppe Nato, da quei soldati cioè che dovevano proteggerle. Un racconto non semplice di una realtà piena di reticenze e omertà. Il film tedesco – canadese, nonostante i premi ricevuti e il cast di buon livello, non è stato trasmesso nelle sale italiane.

In Italia un impiegato di un’azienda privata scopre che il titolare commette dei reati, lo denuncia ai Carabinieri e perde il lavoro. Ora forse il licenziamento non sarebbe più possibile. E’ stata approvata una legge che tutela chi segnala atti illegali e irregolari alla struttura dell’ente, all’Anac, alle forze dell’ordine. Il dipendente, se denuncia, non deve, però, trarre alcun vantaggio personale.

La legge Whistleblowing viene dai paesi anglosassoni. Negli Usa c’è un’attenzione particolare a dire la verità. Fece notizia qualche anno fa uno studente americano che a Firenze, in un concorso per l’Accademia di belle Arti, si alzò in piedi e dichiarò rivolto alla commissione: “Ma qui copiano tutti!”. Figuratevi il parapiglia di commissari che sapevano e vedevano, eppure facevano finta di niente. “Dire la verità”, per noi non vale niente. In qualche altro Paese è un atto politico importante, specie da parte di chi esercita funzioni di governo e di potere. Ne sanno qualcosa i presidenti americani Nixon e Clinton.

La nuova legge servirà a qualcosa? Nelle “irregolarità” dell’Ufficio anagrafe di Manfredonia di quattro anni fa alcuni dipendenti dicevano di non sapere e sono stati indagati su questo presupposto: “Ma come? Stavate nella stessa stanza!” Anche in altri Comuni del nostro territorio è avvenuto qualcosa di analogo. E nelle banche?  Quante sofferenze, quante persone sono state ingannate, quanti funzionari non hanno detto la verità. E quanti altri, invece, sono stati emarginati perché si facevano prendere da scrupoli.

Nell’amministrazione pubblica, nelle aziende, nelle cooperative sociali, difficilmente possono essere scoperte azioni illecite, senza la collaborazione di quelli che ci lavorano e che si trovano in una posizione privilegiata per segnalare abusi. Nell’assistenza domiciliare i ritardi e il non completamento dell’orario sono frequenti, e spesso l’anziano, il disabile non sanno, non si rendono conto. Sono i familiari che devono vigilare e  segnalare, ma sono i controlli interni ed esterni che devono essere effettuati. C’è un antico trattato indiano del 300 a.C. che dice: “Così com’è impossibile capire se il pesce stia o meno bevendo quando è nell’acqua, così è difficile scoprire quando i funzionari prendono delle risorse pubbliche per uso proprio”. La nuova legge apre uno spiraglio sottile. Un tentativo per scuotere la coltre di silenzio, di copertura, di protezione, di finto cameratismo, della quale i principali responsabili sono i dirigenti (ed anche la Giunta). Eppure potrebbero essere sufficienti incontri interni periodici di verifica, di controllo e valutazione del lavoro quotidiano a creare maggiore efficienza e trasparenza. Gli atti pubblici, invece, continuano a essere un labirinto. Il cittadino non riesce a informarsi e se proprio vuole farlo deve spendere molto molto tempo. La burocrazia comunale o di altri Enti si ostina a non comprendere che è il cittadino il punto di riferimento di ogni azione amministrativa ed ha il diritto di sapere tutto.

Oltre a dire la verità e a vigilare sull’osservanza delle regole, ci può essere anche la disobbedienza civile. Diversi anni fa a Manfredonia dei vigili urbani si rifiutarono di fare le multe, perché alcune erano state cancellate. Allora la registrazione era manuale e si poteva intervenire. Sempre i vigili si rifiutarono di fare le multe in piazza del Popolo, perché tra le auto “multabili” c’erano anche quelle di qualche Assessore o dirigente (e dovevano essere esentate). Erano forme legittime di disobbedienza civile. Peccato che nessuno se ne sia accorto.

 

 

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