La fede (e la chiesa) dopo la pandemia. Nuove domande e scenari incerti. A trenta anni dal Sinodo.

CULTURA

Il popolo è necessario. “E’ vero, dice il Papa, che oggi dobbiamo fare familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci”.

I vescovi hanno premuto per aprire. Come si ritorna in Chiesa? Molti hanno bisogno di ritrovare un luogo, riscoprire i sacramenti, ma ci sono quelli che hanno scoperto la preghiera solitaria e dicono che il cristianesimo non può ridursi alla Messa. La nostra società tende a far sparire non la trascendenza, ma la comunità. Gli individui continuano a credere a modo loro, e così non si indeboliscono le istituzioni religiose, ma il legame fraterno e sociale. Dopo la pandemia si entra in un territorio sconosciuto, con nuove domande e le immagini ricorrenti della morte… uno scenario incerto. Potrebbe essere l’occasione per una riflessione aperta e comune, a partire dalle singole realtà territoriali, dalle parrocchie. Come nel Sinodo di trenta anni fa.

Sinodo è “camminare insieme”. Nell’antica Grecia era l’assemblea politica. La democrazia è appunto un cammino che si fa assieme. La parola è divenuta propria del linguaggio teologico ed ecclesiastico, ma è parola laica, civile. Il Sinodo diocesano fu promosso dal vescovo Valentino Vailati (1914 – 1998). Un cammino durato 5 anni (1985 – 1990). Un’esperienza importante e lunga, che ha visto un dibattito vivace, fermenti, stimoli. E’ sufficiente scorrere l’indice dei documenti approvati per verificare una “attualità di fondo”: beni comuni, valore della conoscenza e delle competenze, diritto all’istruzione, la questione del lavoro, le povertà, l’educazione alla democrazia, la cooperazione, la difesa dell’ambiente…. Oltre alle questioni liturgiche e alla vita consacrata.

Il tema del Sinodo era “la parrocchia, comunità che annunzia, celebra, testimonia…” La parrocchia, luogo della carità, della partecipazione, del confronto, dove trovare stimoli e idee; il luogo da dove osservare la città, che cambia… La parrocchia, “fontana del villaggio”. E le parrocchie dovevano seguire un questionario chiaro, semplice. Rispondere a domande, sollecitazioni. Avvicinare i laici (i frequentatori della domenica e quelli lontani), creare gruppi di lavoro, discutere… II lavoro doveva partire dal basso, con tutte le imperfezioni possibili. Molte parrocchie lo fecero. Risposero con modalità diverse, cercarono di condividere tratti di cammino insieme.

Il percorso fu in salita, fin dall’inizio. Si mormorava: il vescovo criticato di aver calato dall’alto il Sinodo, si fecero confronti con altre diocesi… Alcune parrocchie risposero in ritardo o non colsero l’opportunità di offrire contributi critici. In molti centri del Gargano, però, fu un’occasione unica di parlare, di colmare forme di isolamento e di inferiorità, svecchiare una visione di chiesa.

Il primo sinodo dell’Arcidiocesi Manfredonia – Vieste fu promulgato il 19 marzo del ’90. Qualche mese prima, 5 grandi assemblee, nella Cattedrale stracolma, approvarono i documenti sinodali. Di fronte a quella partecipazione alcuni preti chiesero di riaprire i termini della discussione. Il vescovo non accettò. “Cinque anni di tempo! Non erano le differenze il problema, ma il rifiuto del confronto”. C’erano divisioni allora, il nuovo linguaggio teologico, percorsi pastorali rigidi, il sacerdozio difficile… “Se si hanno rospi in pancia, il camminare assieme è pure terapeutico: li fa saltar fuori.” (Antonio Spadaro). Il 30 giugno del ’90 fu approvata dal vescovo la pubblicazione degli atti. Resta un librone di 450 pagine, in una veste grafica di difficile lettura, finanziato da Mucafer e Imes (due imprese importanti del tempo). Restano allocuzioni significative, orientamenti e norme… Alcuni documenti sono ampi e significativi, altri meno.

Il Papa da Santa Marta: La pandemia di oggi non deve farci chiudere gli occhi verso altre pandemie. La riscoperta del vangelo deve farci riconoscere i nostri poveri, ma anche quella immensa marea umana senza diritti, lontana da noi. Questa pandemia deve farci cercare ancora, nel segno della libertà e gratuità, oltre “la mondanità spirituale” (cultura dell’effimero, camaleontica, del maquillage continuo…). Che cosa si aspettano i cristiani ritornando in chiesa? Forse nuove omelie. Brevi. Non più di 7 – 8 minuti.

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