La pandemia ci apre gli occhi. L’ospedale è luogo di cura? Certo. Ma non è il solo.

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Il coronavirus ha insegnato alcune cose importanti. La salute è una catena e l’ospedale è l’ultimo anello.

Una decina di giorni terribili, frenetici, confusi, ospedali pieni, i “pronto soccorso” stracolmi, intasati, poi i morti, le bare… Molti seguivano i consigli di stare a casa, prendere la tachipirina… e poi quando non respiravano più c’era la corsa inutile all’ospedale. Questa infezione lascia un margine di tempo, non è l’ictus o l’infarto… perché non aggredire prima la malattia? E se a domicilio oltre ai tamponi si danno i farmaci che si danno in ospedale? Su queste premesse a Piacenza si sono mossi alcuni medici (Luigi Cavanna)  e hanno impostato un metodo di lavoro. Su 250 pazienti, nessuno è morto e solo 5 sono finiti in ospedale.

L’ospedalizzazione ha moltiplicato i contagi. Ha costretto a moltiplicare i reparti di terapia intensiva, tutti montati in pochi giorni come in Cina. Erano necessari, perché quella era la linea obbligata, quasi tutti sono stati smontati dopo un mese e si prevede che se pure ci sarà una seconda ondata si agirà diversamente. E cioè con la cura e la terapia domiciliare, sorvegliata. Sul Covid, sulle esperienze fatte si è sviluppato un dibattito vivace, sono nate le USCA (unità speciali continuità assistenziali), in collaborazione con i medici di famiglia, si pensa pure all’infermiere di quartiere!

Quanto è avvenuto in modo tragico in quei giorni in Lombardia ci fa capire l’importanza della medicina del territorio, e, quando essa manca, la salute non viene assicurata. Entrano i campo i servizi di prevenzione, di riabilitazione, infermieristici, e soprattutto il ruolo dei pediatri e dei medici di famiglia. Confinati in una posizione secondaria e percepiti “inferiori” rispetto agli “specialisti ospedalieri”.

C’è una medicina del territorio. Ci sono saperi e competenze che non vengono valorizzate. Ricordo il mio medico, Franco Mancini, deceduto purtroppo a metà marzo, conosceva bene i suoi pazienti, le fragilità, le piccole patologie da controllare, le abitudini (alimentari per lo più) poco sane, il peso delle solitudini. Me ne parlava e io ho tratto da assessore alle politiche sociali utili suggerimenti. Come pure ho imparato molte cose da Donato Renzulli, capo del distretto, non solo per l’organizzazione dell’assistenza domiciliare integrata, ma per il servizio infermieristico domiciliare. Si affannava a rivendicarne l’importanza. Figure di cura e di sorveglianza. Poi la presenza dell’Ant (per i tumori), il piccolo presidio infermieristico per gli anziani presso la Casa di riposo Anna Rizzi. Il ruolo chiave del pronto soccorso l’ho compreso dal dottor Matteo Melchionda, lì passano ogni mese centinaia di persone, le vulnerabilità, gli abusi, i disturbi alimentari… le strane “cadute domestiche”. Chiedeva costantemente attenzione per una struttura fondamentale e figure specialistiche di buon livello.

Se si clicca sul web si vede che un solo tema ha interessato le istituzioni pubbliche, la politica, la cittadinanza di questo territorio: l’ospedale. Solo ed esclusivo. Sulle questioni sopra riportate nessun interesse, Nessuna discussione. Di fronte ai tagli e alle alternative possibili sempre il dibattito è stato bloccato dall’immagine di una medicina ospedalizzata, la sola che può assicurare la salute!

La pandemia è una lente di ingrandimento, ci fa vedere meglio i fenomeni in atto: i cambiamenti della medicina, del concetto di salute, dei bisogni della popolazione, la crescita degli anziani con più patologie, le nuove tecnologie…

Il piccolo ospedale è condannato all’irrilevanza se non si trasforma completamente. Scrive in questi giorni Silvio Garattini: medicina territoriale e medicina ospedaliera, sono le due gambe da coordinare e integrare. Alla base una prevenzione di buon livello, la ricerca clinica e la formazione continua. E soprattutto affermare il ruolo centrale e prioritario del pronto soccorso: “un ponte tra territorio  e ospedale a condizione che sia caratterizzato dalla presenza di alte professionalità”.

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