Mafia. Non si sa bene come è nata, né come finirà (se finirà). Un mese di fuoco dice che c’è.

CULTURA

Nasce per autocombustione? All’interno della comunità per generazione spontanea? Quello che è certo è che c’è. Nonostante i silenzi e gli oscuramenti.

Mandredonia. 6 giugno, auto incendiata alle tre di notte in via Galilei. Sempre quel 6 giugno, incendio alla porta di un garage di uno stabile con molti residenti delle Forze dell’ordine. 24 maggio, una bomba sotto un’auto in via Tribuna. 16 maggio, tentato incendio a un auto in via 1 maggio. 12 maggio, incendio auto a Monticchio davanti a pianoterra abitato da coniugi anziani. Oltre le auto, gli incendi: 4 giugno, a fuoco una piccola area presso la Chiesa Sacra Famiglia. Sempre il 4 giugno, incendio nei pressi di un caseificio. 26 maggio. a fuoco la “riservetta” di Manfredonia. E poi vari incendi di campi di grano e altro ancora nelle campagne.

Trenta giorni di fuoco, dopo il lockdown. Una ricerca di pochi minuti on line. Non tutto viene detto e raccontato. Oltre alla droga, estorsioni, usura, vi è una mafia “generosa”, che dà soldi per entrare in società, e qualcuno preferisce andarsene. Si crede che la mafia vi sia solo quando ci sono i morti. Molti maledicono quella strage di S. Marco che ha portato allo scoperto un fenomeno con cui si conviveva.

Mi trovo su uno dei moli del porto di Manfredonia. Incontro un pescatore – armatore. “La mafia è dei commercianti, sono loro che mischiano il nostro pescato con altro… Dovrebbero fare tre aste al giorno”. Più avanti un gruppetto. C’è un armatore che ha venduto la sua barca. Un altro, più che settantenne, costretto a uscire in mare, ha una pensione di 500 euro al mese. Un settore alla deriva. Con tante situazioni diverse. Sospetti, invidie, diffidenze, conflittualità, pescatori divenuti commercianti, decine e decine le cooperative. Il disagio di adattarsi a continui cambiamenti normativi in una situazione locale che non dà sostegno, e sullo sfondo la triste vicenda del mercato ittico. La mafia entra in una comunità sfilacciata, senza protezione e senza servizi. Il valore di una associazione mafiosa sta nella creazione di un tessuto connettivo, legami taciti che invischiano… Nessun patto esplicito, nessun giuramento dichiarato,… si scivola senza accorgersene.

Sembra calato il silenzio sulla mafia, non ci sono fonti di informazione che cercano, collegano, esplorano il territorio e provano a definire le mappe del potere e della criminalità. Chi comanda in città? Prima erano i partiti e i sindacati a rispondere.

C’è un velo quando si accenna a proprietà di locali, gioco d’azzardo, prestanomi. Volete sapere se la mafia c’è? Provate a parlare con qualche gestore di locali di questi argomenti. La mafia è forte se si parla sottovoce. Che fare? Dire la verità? E’ difficile. Si può provare a tenere aperte le menti, a porre domande… di fronte ai silenzi, accostamenti ambigui, a un “negazionismo” strisciante. Ma dove sta questa mafia? Dove sta il clientelismo? Pare che a parlare di mafia si sporchi l’immagine di un territorio e di una città. E le azioni delittuose sopra indicate come possono essere definite?

Non si può governare il fenomeno solo con scioglimenti di Comuni e interdittive. E’ facile dire: “denunciate”. Ci vuole informazione, partecipazione, fiducia tra Stato e cittadinanza. C’è da ricostruire una nuova classe dirigente, diffusa, selezionata per le competenze, e anche con quella professionalità che riguarda “il politico”. La politica come mediazione di interessi, che non punta al consenso ed è capace di mettere intorno a un tavolo soggetti diversi per tenere in equilibrio il bene di tutti. Parlare di classi dirigenti significa parlare degli ordini professionali, avvocati e commercialisti, banche, mondo della scuola e della cultura… Classi dirigenti con la voglia di ascoltare, capire, studiare. Sul mondo della pesca è stata pubblicata una ricerca, “Di terra e di mare“, che aiuta a comprendere molte cose. Un testo che si studia all’Università! Oggi si vuole fare attività politica senza leggere, senza conoscere…

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