Le case di riposo indifese. Dove si è soli e si muore. Ed è necessario parlarne.

SOCIALE

Molti insegnamenti si ricavavano dalle esperienze della scorsa primavera. Non mutamenti culturali, né nuove filosofie di vita. Ma modelli organizzativi per non arrivare impreparati.

Due aspetti in particolare: la sorveglianza delle Case di riposo, nelle quali c’era stata una mortalità diffusa, e la Medicina Territoriale, cioè cercare di non far arrivare tutti in ospedale; intervenire prima: medici di famiglia, isolamento protetto, Usca (unità assistenziali) per le cure domiciliari… Ma non abbiamo imparato nulla.

Non è stato solo il Covid a uccidere molti ospiti nelle Rsa del Nord, nella primavera scorsa, ci sono quelli che, per la carenza di operatori in quarantena, hanno sofferto l’assenza di cura, e indaga la magistratura. Questa volta le Case di riposo sono state colpite meno? In Puglia (in particolare in provincia di Bari e Foggia) pare di no. A Manfredonia gli ospiti della Stella Maris e dell’Anna Rizzi sono positivi. E’ difficile il controllo del virus, anche nelle strutture protette, quando intorno c’è superdiffusione e sottovalutazione del contagio e si passa dalla negazione al panico, alle file di centinaia di persone, nei pressi di centri di analisi. E’ difficile la protezione, ma colpiscono interventi privi di umiltà, rispetto, verità, le parole giuste in questa pandemia.

E’ sorta una discussione sugli anziani, sulla loro improduttività, si è aperto un dibattito, subito represso… C’è molta ipocrisia in giro. Che fare degli anziani? Questa la domanda vera. Nella primavera scorsa si è ragionato su chi doveva avere la precedenza nelle terapie intensive. Lo si fa ancora oggi. La morte, però, non è la cosa più terribile di questa epidemia, quanto il morire soli.

Non si parla della solitudine degli anziani. La Casa di riposo non è un luogo piacevole. Gli anziani non lo amano. Si rassegnano quando non ce la fanno più, e vedono i litigi familiari, le difficoltà dei turni, le figlie che si barcamenano tra figli e genitori anziani. Molti vorrebbero vivere da soli, aiutati, sostenuti… ed allora la discussione necessaria è quella di pensare a quali servizi predisporre, come organizzarsi dal momento che non possono tutti “finire” in strutture sociosanitarie. Nelle quali è apprezzabile lo sforzo degli operatori nel creare una piccola comunità intorno agli ospiti, che però sono già lontani dalla vita, perché hanno lasciato quel piccolo mondo legato alla propria persona, con le sue memorie uniche, i suoi sentimenti, esperienze… Nella Casa di riposo, a casa… cercano i figli, i nipoti… sperano ancora nella sorpresa di una visita, un incontro…

Ascoltate questa piccola storia che viene dalla casa Anna Rizzi, trasformata anni fa in Asp (Azienda Servizi alla persona). Un percorso faticoso; è stato difficile persino far capire ai familiari (sorelle, figli…) che la pensione che essi riscuotevano dovevano versarla alla Casa.

Una anziana donna doveva fare i raggi in ospedale, di mattina. I pulmini dei servizi sociali erano impegnati a quell’ora. Ma i familiari pretendevano il servizio pubblico, una “questione di principio“, dicevano i figli. Articoli sui giornali locali, minacce di far intervenire “striscia la notizia“… Si temevano proteste per il giorno della visita radiologica. Ero assessore allora, l’assistente sociale mi telefonò in tarda mattinata, era andato tutto bene, però mi chiedeva di passare dalla Casa di Riposo. Andai il giorno dopo: non la conoscevo, ma la vecchietta appena mi vide: “E’ stato bello assai, figghie mie (figlio mio). bell’assai. Mia nipote mi ha accompagnato!“. Quella mattina la nipote con un’amica l’aveva accompagnata a piedi con la carrozzella all’ospedale, che dista un paio di cento metri. Raccontava a tutti e per molti giorni quella passeggiata memorabile. La ragazza, adolescente, frequentava l’istituto magistrale e quel mattino… aveva colto un buon motivo per non andare a scuola.

Alcuni sono a casa positivi asintomatici, non vogliono andare in ospedale, stanno abbastanza bene, isolati ma non protetti, hanno paura di essere portati non si sa dove… a Foggia, S. Giovanni Rotondo gli ospedali sono pieni, sicuramente fuori provincia. I familiari sono spesso complici. Un piccolo nucleo di assistenti sociali e psicologi che possa rassicurare queste persone e mantenere, in caso di ricovero, i contatti con i parenti… è proprio assurdo immaginarlo?

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