Vivere nella pandemia. La solitudine non è uguale per tutti. Le parole di Fidelia.

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Rimanere a casa e non poter uscire non è uguale per tutti. C’è chi ha una casa grande, può gestire i propri spazi… C’è chi non è autonomo ed ha bisogno di aiuto…

“Moltissime persone si trovano in condizioni di disagio a causa del Covid 19. La situazione peggiore è per chi ha una disabilità di qualsiasi genere. Ora vi porto come esempio la mia esperienza. Mi chiamo Fidelia Clemente, ho 40 anni e sono una ragazza diversamente abile, vivo in solitudine con i miei genitori (a causa del corona virus) a Mattinata; passo le mie giornate guardando film, seguendo serie televisive, dipingendo, facendo un po’ di ginnastica… Ma tutto questo non basta a una giovane donna che ha voglia di vivere e confrontarsi con il mondo esterno, che il corona virus ha bloccato da un po’ di tempo. Da alcuni mesi hanno interrotto il servizio di assistenza che mi permetteva di svolgere le mie attività artistiche tra Mattinata e Manfredonia, alleviando anche il peso sulla mia famiglia. Non ho rapporti di amicizia veri se non quelli di Facebook (che io chiamo amicizia snella). Mia sorella mi chiama spesso, qualche mio parente ogni tanto si fa sentire, ma tutto ciò non mi soddisfa, vorrei chiamate, videochiamate, messaggini da parte di qualche amico /a che mi chiedesse: – Ciao Fidelia, come va? Hai bisogno di qualcosa? – Niente di tutto questo. Pensano tutti alle loro vite e ai loro problemi. Tutto ciò io lo comprendo, ma ognuno dovrebbe farsi carico un po’ delle sofferenze di chi è più sfortunato. Ciao a tutti, Fidelia

Ho ricevuto questa lettera di Fidelia tre giorni fa. Una lettera piena di dignità e di verità. Fidelia sa dire le cose in modo semplice e diretto. La conosco da oltre dieci anni, dall’epoca della prima gestione del Luc, quando partecipava a molte iniziative. Scrivo questi pochi pensieri davanti a un quadro che mi ha regalato, carico di colori, al centro una figura “mitologica” nera che si muove scomposta, e intorno c’è un rosso vivo e tracce di azzurro, di bianco. La immagino sempre piena di curiosità e con una forte voglia di vivere, sperimentare, conoscere. Dipinge, scrive canzoni, costruisce narrazioni fotografiche… Lo fa con molta fatica ma con risultati apprezzabili. E’ stata certamente aiutata dalla famiglia (forse anche dalla scuola) a sviluppare queste passioni.

Fedelia non ama il lamento, ma il desiderio di incontrare gli altri non lo nasconde e lo dice. Il suo è un grido, il grido di una donna contro il muro eretto intorno alle nostre coscienze. Sa bene cosa è la solitudine, quell’isolamento che nasce dall’impossibilità di creare relazioni. Sa bene che “noi siamo un colloquio”.

Dicono che questa pandemia ci fa scoprire la nostra vulnerabilità, debolezza, fragilità… ma le persone con handicap questi sentimenti li vivono quotidianamente. I soggetti “normali” hanno paura a entrare in contatto e incontrare le persone diversamente abili, non sanno che cosa dire, come comunicare, avvertono la diversità… Non riescono a cambiare lo sguardo su una realtà che è lontana ed estranea ad una persona “abile”. Eppure è più facile di quanto si creda. Si tratta di immaginare e pensare che la vulnerabilità è il “patrimonio genetico” del nostro essere umani. Conviverci e accettare la nostra caducità e mortalità è la condizione essenziale per incontrare la vulnerabilità altrui.

Si parla di nuovo umanesimo. Esso implica, diceva Martin Luther King, un duro lavoro su se stessi. Per evitare di disprezzare gli altri, così differenti e diversi da noi, “è indispensabile accettare se stessi, con le proprie debolezze e i propri handicap”.

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