“Il suicidio dell’itala gente”. Così disse l’ONU anni fa. Fummo increduli e indifferenti, allora.

SOCIALE

“Il suicidio dell’itala gente”. Lo stesso titolo di un articolo che scrissi 25 anni fa. Le stime dell’Onu anticipavano quello che si sarebbe verificato in Italia.

Perché un paese entra in recessione demografica? Si intrecciano aspetti sociali, psicologici, economici, di costume… difficili da districare. Asili nido, servizi per l’infanzia, congedi materni e paterni, sostegno alla casa, assegni, lavoro femminile… Tutto va quasi bene. L’analisi dei territori, però, non ci dà conferme incoraggianti. Ci sono province (Rimini) che offrono molti più posti al nido e altri requisiti sopra indicati, eppure hanno un crollo della fecondità (agli ultimi posti al mondo).

Come si spiega? Le province nelle quali dal 2008 diminuiscono di più i nati sono quelle in cui si è abbassata maggiormente la popolazione femminile fertile (dai 16 ai 45 anni). Fra il 1970 e il 1992 il crollo delle nascite (43%) ci ha consegnato meno donne in grado di procreare. E’ questo un dato strutturale, comune a tutta l’Europa. In molti paesi si è provveduto ad invertire la tendenza sulla natalità e ad aprirsi all’immigrazione.

“Io e Mr Wilder” è un romanzo di Jonathan Coe. Calista (di origine greca) è una donna di 57 anni con due figlie gemelle che stanno per lasciare la casa (Londra). Ariane va a Sydney al Conservatorio e Francesca (Fran) è ammessa a Oxford. Calista è stata fortunata. In un viaggio in America ha casualmente conosciuto Billy Wilder. Il regista si apprestava a girare in Grecia il film Fedora, e la chiamò come interprete. Calista studiava musica, e l’esperienza dietro una troupe l’aiutò a diventare compositrice di colonne sonore. Con le due figlie era stata bene. Dopo la loro nascita era riuscita a trovare una sorta di equilibrio tra queste due vocazioni: curare le figlie e comporre musica. “Scrivere musica per il cinema è una meravigliosa avventura – confessa – ma posso dire in tutta onestà che non ho mai rimpianto d’aver rinunciato a un lavoro per potere dedicare più tempo alle mie bambine, trarne nutrimento giorno per giorno dalla loro energia, curiosità, gusto per la vita” . Ora che le figlie se ne vanno, Calista ripensa con rimpianto a quel periodo.

Fran aspetta un figlio e non vuole rinunciare all’Università. Pensa all’aborto. Calista ne parla con il marito: “Fran vuole tenere il figlio e andare all’Università. Perciò, dipende da noi”. “Da noi?”, il marito è ancora addormentato. “Ci occuperemo del bambino. Per qualche anno sarà questo il nostro lavoro, la nostra responsabilità… Possiamo farlo!”. Il marito: “perché no!” 

Pensando alla denatalità mi sono ricordato di questa storia. Molti hanno desiderato la pensione e si ritrovano soli. Questo esercito numeroso di anziani può guardare il mondo con occhi amorevoli e, pur vivendo in modo pieno la propria esistenza, provare a sperimentare un ruolo sociale di apertura, di affetto, di servizio verso le nuove generazioni?

Oggi poche donne ricorrono all’aborto; lo evitano. Non fanno figli perché sono libere, rifiutano la maternità perché non vogliono soggiacere all’autorità maschile. E’ una questione di libertà e di subalternità. Libertà è fatta di lavoro, studio, affermazione, sogni, desideri. La maternità è sacrificio, dedizione. Le “cattive ragazze” di oggi sono figlie e nipoti e hanno visto le mamme e le nonne affaticarsi e divise tra doppie presenze. L’equilibrio si è rotto. C’è un modo per mettere nella maternità qualcosa che non sia solo sacrificio e fatica? Lo Stato e la società possono dimostrare alle “cattive ragazze” che la maternità non ridurrà la loro libertà? Non si tratta solo di procreare, la funzione materna non può essere separata da quella di accudimento. Il peso dei figli non si può negare, i limiti non si possono nascondere, per questo il rapporto genitoriale paritario tra coniugi è fondamentale.

Già 25 anni fa vi erano quelli (Giuseppe De Rita, Franco Cardini…) che affermavano come il problema non si poteva affrontare senza un cambiamento culturale, superando una mentalità che vuole godersi tutto e subito e recuperando slancio, utopia, futuro; E’ inutile ragionare in termini solo di posti al nido e di soldi (che vanno dati e di più). Gli interventi sociali servono, magari in forme più flessibili: affido temporaneo, aiuto vicendevole, tagesmutter (madre di giorno)… Ma non sono sufficienti a rifondare socialmente la maternità se non si riscopre il dono, la generosità, la gratuità.

E le “cattive ragazze”? Devono metterci audacia e rischio e devono immaginare che un figlio da crescere alimenterà la loro vita di stupore e di uno sguardo sempre nuovo sul mondo. Calista non si chiude nella nostalgia e riconosce ciò di cui hanno bisogno le figlie. Capisce che deve trovare un modo più appropriato, aggraziato di essere presente e di fare ciò che bisogna fare.

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