La festa è finita. Le estati culturali pure. Ora ci aspetta un lungo letargo.

CULTURA

L’estate è andata bene, gli imprenditori turistici (balneari) sono soddisfatti, città e paesi hanno offerto i loro piccoli festival…

Scelte popolari ed elitarie, sperimentazioni e coinvolgimento… Le estati culturali non lasciano il segno, solo qualche piccola provocazione. Soffrono anche i grandi festival, quelli di filosofia, letteratura, scienze, economia… Una modalità che ha recepito le aspettative della popolazione e del turismo culturale: l’esigenza di ascoltare un linguaggio più aperto e nuovo e di scoprire aspetti della cultura umanistica e scientifica ritenuti solo per addetti ai lavori. I festival permettono varietà di linguaggi e modalità comunicative differenti (lezioni magistrali, presentazioni di libri, spettacoli, mostre), creano una situazione accogliente, in cui il visitatore – spettatore si sente partecipe. Una riflessione soft sulla realtà quotidiana, ma senza sollecitazioni forti e scossoni. Ora non basta più. Le tematiche si ripetono, il pubblico è fin troppo omogeneo, e poi nei dibattiti scarsi i contributi e gli interventi.

Nella Capitanata e nei piccoli centri i festival mettono insieme varie cose: feste patronali e popolari, concerti, carnevale estivo, enogastronomia… anche qualche proposta originale. Una piacevole confusione in una lunga estate che restituisce alle piazze il ruolo di aggregazione.

“Nel Gargano i mesi estivi sono drogati. Poi c’è la depressione. Una Provincia trascurata, con alle spalle una pesante crisi pandemica, perdita abitanti, denatalità, criminalità… Pensavo che qualche riflessione arrivasse nella programmazione estiva… Se non si parla adesso… quando?” Dice Benedetta di Monte S. Angelo che ha lasciato il paese negli anni Novanta. La incontro con altre amiche per caso, in Foresta Umbra. Tutte vivono fuori.

“Quel che si fa qui non arriva lontano, né ci si confronta con altre esperienze. C’è emergenza culturale ed anche democratica, politica. I luoghi sono sempre meno frequentati. C’è difficoltà a mettere insieme le persone. Lo scioglimento per mafia ha fatto bene? Il disinteresse resta, come le divisioni. Ognuno ha un’opinione diversa sul presente e sul futuro”. Sostiene Adele, pure di Monte.

“L’estate però va bene, non si discute molto, ma ci si confonde, ci si incontra, ci si riconosce… E’ d’inverno che non c’è niente ho l’impressione che i luoghi pubblici non siano frequentati liberamente e i bambini imparano presto ad agire con circospezione”. Dice Franca. E continua: “ Monte S. Angelo fa paura … un “degiovanimento” totale. I giovani non ci sono. La loro sola presenza fisica modificherebbe tante cose. Passeggiare per lo Junno anche in questo periodo è sconfortante… ”.

“Si scontano gli errori degli anni settanta – aggiunge Benedetta – un paese, patrimonio Unesco… con uno sviluppo urbanistico assurdo, esteso, va da Macchia, a Poggio del Sole, a edifici residenziali lungo le curve di accesso… Eppure qualche idea allora c’era sul centro storico. Bisogna fare un’analisi sociale. C’è una fascia anziana che sta bene, buone pensioni, che si sposta per andare a trovare i figli fuori. Non vuole pensieri, né impegni. Ipotesi di sviluppo? Ma si sta tanto bene così! E conta molto”.

E’ la stessa situazione a Manfredonia. Dove c’è una apparente maggiore vivacità… Si parla sempre di una città martoriata nel passato e non si vede come è oggi: alterati e guastati, con il tessuto urbano, i rapporti quotidiani delle persone… Io anni fa sono tornata per restarci… e sono ripartita. Non per il lavoro… avevo trovato delle cose da fare. Qui mi sono sentita calamitata in una vita da spettatrice. La sera ci si incontra tutti in uno spazio di poche centinaia di metri. Nei miei anni fuori, quando tornavo scorgevo una vitalità popolare, una creatività, un pizzico di ironia e impertinenza, ora invece adattamento, indifferenza… Ogni comunità ha bisogno di qualche parola d’ordine, qualche sogno… Il LUC poteva essere trasformato, rilanciato e invece è stato chiuso. Forse mancano figure autorevoli”.  Alessandra  è un fiume in piena.

“Mancano figure significative? Intellettuali? E meno male che sono scomparsi. Un tempo c’erano. A Monte S. Angelo c’erano. Presuntuosi e litigiosi. Il folclore? C’era una compagnia, poi la seconda, la terza… tutte a interpretare il “corretto folclore”. Ora nessuna. E che dire del Centro studi micaelici con il prof. Otranto, Il Santuario patrimonio Unesco?… Ho letto che si cercò di mettere in piedi un festival del cinema religioso tra Monte S. Angelo, S. Giovanni Rotondo e Padre Pio, Manfredonia… Poi tutto si arenò tra gelosie di paese” E’ sempre Benedetta che aggiunge: Ora avanza questa retorica della cultura che o deve divertire o deve dare immediati benefici economici… Ci sono stati comunque esperimenti interessanti: la lettura del De Rerum natura di Lucrezio a Monte o la programmazione della Bottega degli apocrifi a Manfredonia: Pace, adattamento di Aristofane (coinvolti un centinaio di adolescenti), riflessioni dalla Pandemia, sull’immigrazione, sulla nostalgia..). Spettacoli che ci fanno capire che la cultura non è sapere più cose ma essere più umani”.

Occorre uscire dal letargo e dal gelo del resto dell’anno. Ripartire si può ma con un impegno collettivo. Le voci si accavallano. Mettere insieme le risorse di Comuni, associazioni.. .”Unione dei Comuni! Qui l’unione l’ha fatta la mafia” “Io proporrei di mettere in scena letture di Antigone nei luoghi della lupara bianca”. “Porterei iniziative nelle periferie”. “Coinvolgere direttamente bambini, adolescenti…”. “Si deve partire dai beni pubblici, difenderli come luoghi di dialogo, cittadinanza…”

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