Manfredonia. Alla ricerca del sindaco perfetto.

POLITICA LOCALE

Venerdì scorso un’esperienza unica. Il tempo era piacevole. Capannelli vari in Corso Manfredi, tutti curiosi di sapere, di dire.

“Ti hanno fatto la proposta?” Resto sorpreso. “Ah… ma io non sono Biden. So che molti vorrebbero una donna”, dico. “Ce ne sono… diverse. Maria Teresa, Maria Grazia… ma non proponibili… per quelli che stanno dietro”. Il riferimento era accompagnato con gesti delle mani e strabuzzamenti degli occhi. “E’ una provocazione solo parlarne. Dai, Paolo, non dirci che non sai chi sta dietro?”. “Forse sì e forse no. Sono però donne che hanno quel tanto di orgoglio e ambizione… figuratevi se sopportano di essere vincolate ed obbedienti… E poi il ‘chi c’è dietro’ riguarda solo loro?”.

Un gruppetto più ampio nei pressi di un bar. Mi fanno la stessa domanda. “Ma non c’è la proposta di far uscire il candidato sindaco dai consiglieri di opposizione? Togliendo le due Marie restano sette, facciamo scegliere a loro… uno, sindaco e gli altri sei, assessori!”. “Pure tu…  ma che c… dici. Come se Rotice l’hanno fatto cadere loro. E’ caduto da solo, è imploso, imploso… Loro lo volevano salvare”. “Ci vorrebbe uno anziano, saggio, con esperienza, e una decina di giovani intorno… “, aggiunge qualche altro. In questi incontri frettolosi il livello della comunicazione è sconfortante. Parliamo e usiamo una lingua con espressioni ripetitive, scontate, perché pensiamo in modo piatto e monotono (l’idea salvifica dei nuovi governanti, la cultura del lamento, l’immagine di un passato solo turpe, vergognoso…).

Incontro un conoscitore di categorie importanti della città. “A breve ci saranno novità. Voi pensate che la marcia dei trattori finisce qua. Si stanno riunendo in un fronte che mette insieme agricoltori, balneari, pescatori… Ci saranno novità. Poco tempo ancora”.

Entro finalmente nella “parrucchieria” (sala per il taglio di capelli). “Ci sono quelli del passato che parlano e parlano… non vogliono mettersi da parte” “Hanno pure il diritto a parlare? E poi, c’è il voto per metterli da parte” “Ho visto che discutevi animatamente”. “Banalmente devi dire. Questi incontri fugaci mi disorientano. Non riesco a dire ciò che penso…” 

Sono in attesa, si presenta un signore anziano. “Eh sì, la parola si è persa, consumata…. Se non si riprende il gusto della parola… Io sono il papà di Lorenzo Triggiani”. “Ah, ho letto le sue poesie… Ricordo un libro… c’era la prefazione di Roversi, poeta bolognese. So dell’ultimo, ma non l’ho letto”. “Mi interesso anch’io, un po’, vedo come nascono le poesie, quella fatica di spogliare la parola… A me piace Ungaretti. Beh, sono un artigiano e scrivere poesie somiglia al mio lavoro”. Si accoda anche un altro, più giovane. “Usiamo parole ascoltate altrove, abbiamo l’impressione di capirci e invece ognuno pensa a cose diverse”.  “Si cerca un buon sindaco! Nel neonato Regno d’Italia i prefetti dovevano vigilare, soprattutto nel Meridione, che i sindaci sapessero leggere, scrivere e far di conto. Solo queste tre cose. Oggi è lo stesso? Certamente deve stare sul Comune dalla mattina alla sera per leggere scrivere e fare i conti”.

Riesco finalmente a tagliarmi i capelli. Mi avvio a piedi verso casa. Che strano! Una discussione sulla poesia dal barbiere! La ricerca del sindaco perfetto! Chi mai può dire oggi quali sono le competenze? E chi può pensare di averle? Eppure, a destra e sinistra, si parla di candidature forti e deboli, si rincorrono giudici, medici, avvocati, imprenditori… Un quadro nuovo e complesso per cui non avere esperienze amministrative, non so davvero se sia un demerito. Credo che debba avere pochi tratti: essere convinto che il suo primo compito sia attivare le risorse, le energie, le opportunità del territorio. Non solo “intercettare risorse”. Poi sapere organizzare le persone, metterle insieme… quella che si chiama intelligenza collettiva. Ma soprattutto saper usare parole semplici, capaci di smontare espressioni ambigue, ipocrite: “Restituire alla città” (per giustificare la chiusura del Luc, e non solo ), “Voler bene alla città”… Il Bene va esercitato. semplicemente! Insomma il sindaco deve vivere il presente della sua comunità reale (non quella che lui ha in testa), sapendo che deve quotidianamente mediare, non tra torti e ragioni, ma tra due ragioni. Resto sempre legato a quell’espressione usata da un grande economista napoletano del Settecento, Antonio Genovesi. Amministrare come il buon padre di famiglia.

E ancora, deve cercare di allontanare quell’umor nero che pesa sulla comunità, l’asfissiante cultura del lamento. Non è immune nemmeno il Carnevale. C’è creatività nei vestiti, nelle maschere, buona la fattura dei pupazzi… ma senza allegria, senza ironia. I bambini non si divertono. Si confonde la sfilata del Carnevale con il corteo in costume, il libero e spontaneo sbizzarrirsi dei ragazzi con i  saggi delle scuole di danze… Forse oltre a S. Lorenzo, importante, significativo patrono della città, i sipontini dovrebbero coltivare l’immagine dell’altro patrono, S. Filippo Neri, il buffone di Dio.

Arrivo a casa e mi accorgo di aver lasciato l’auto a Manfredonia. Altro che le dimenticanze di Joe Biden! Scoppio a ridere. Mia moglie: “Ma che hai da ridere?” “Mi son ricordato di quella penitenza di S. Filippo Neri, a una donna che aveva confessato le sue maldicenze, l’obbligo di spennare una gallina e poi tornare indietro a raccogliere le penne”.

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