Niente di nuovo sul fronte occidentale. Sono tante, però, le vite (immaginarie) di Sabrina.

CULTURA

I leader politici non sanno come impostare il discorso per l’anno nuovo. Non ci sono elementi di speranza. I toni baldanzosi si sono attutiti, ed essi non ammettono mai di sbagliare.

“Provo indignazione quando sento deplorare le bestiali crudeltà che il ‘nemico’ sta commettendo, come fossero violazioni delle nobili regole della guerra. Un modo ignobile di propagandare l’idea che esista una guerra accettabile. Non esiste e non è mai esistita una guerra pulita” (Severino Dianich). “Netanyahu deve andare a casa. Dobbiamo creare un angolo di mondo di mutuo arricchimento tra la nostra cultura e quella araba. Dobbiamo ricominciare, noi Israeliani, studiando l’arabo, un segno di rispetto nei confronti dei palestinesi” (Tsvia Peres Walden). Tutto il contrario dell’ostracismo alla lingua e cultura russa, sostenuto dall’Occidente. Non bisogna farle scoppiare. Le guerre e le tragedie intorno a noi possono essere prevenute. I leader politici e i cittadini devono relazionarsi alla complessità del mondo non solo con la logica, il sapere tecnico. C’è una terza competenza: l’immaginazione, la capacità di vedere le “conseguenze”, fondamentale nella democrazia e nella vita sociale.

Il teatro greco antico “promuove” la consapevolezza e la condivisione del dolore. Pone domande che fecondano l’immaginazione. Il regista Michieletto racconta l’esperienza della rappresentazione della Medea di Euripide, nella quale gli spettatori raggiungono la catarsi, la purificazione riconoscendo gli effetti devastanti delle passioni e interrogandosi su vicende che potevano avere uno svolgimento diverso. L’informazione televisiva, e i talk show, invece, accumulano dati su dati, danno voce a numerosi esperti, che giudicano e classificano, per cui persino indignarsi sulle stragi a Gaza può valere l’accusa di antisemitismo.

Sabrina Ali Benali, medica francese in un pronto soccorso, ha scritto qualche giorno fa su Twitter. “Sono nata 38 anni fa in un ospedale di Tolosa. Sul cartellino sopra la culla c’era scritto Sabrina – Aurore. Sarei potuto nascere a Lagos in Nigeria, chiamarmi Asma e oggi essere su un barcone con la mia bambina. Aggrappata alla speranza di sopravvivere in Europa. Il sogno di trovare un lavoro e poter far mangiare mia figlia ogni giorno… Sarei potuto nascere a Tel Aviv, chiamarmi Guila e piangere l’ingiustificabile e barbaro assassinio di mio fratello morto negli attacchi del 7 Ottobre. Sarei potuta nascere a Gaza, chiamarmi Rania e tenere tra le braccia la mia piccola bambina appena morta. Giocavamo insieme quando tutta la casa ci è venuta addosso… Ricordo solo lo sguardo di terrore nei suoi occhi l’attimo prima che la sua mano scivolasse dalla mia. Sarei potuta nascere a Kiev, chiamarmi Olena ed essere in servizio in ospedale, ogni minuto con la paura che una bomba ci colpisca… Tutti noi saremmo potuto nascere da qualche altra parte, pur essendo lo stesso uomo e la stessa donna… Si parla di razza, di religione. Ma guardo le mie mani e le loro mani. Sono uguali”.( Da Internazionale). Sabrina ci suggerisce un percorso di conoscenza immaginativa che potremmo fare ogni giorno. Ci stupisce e interessa il richiamo alle mani, che rendono gli esseri umani uguali.

Ricordo l’inaugurazione dei corsi dell’Università della Terza età nel 1997 – 1998 a Manfredonia. Quell’anno accademico si apriva con una conversazione sulle mani e sullo sviluppo intellettivo dell’uomo. Il pensiero greco delle origini cerca di rispondere alla domanda: Che cos’è un uomo? Per farlo stabilisce una demarcazione verso l’alto e verso il basso: uno spazio, cioè, specificatamente umano, lontano dall’onnipotenza e dalla ferinità e bestialità. Per i filosofi presocratici, “l’uomo è diventato più intelligente e preminente nel mondo animale per l’uso delle mani”. Nel Pantheon greco le mani hanno un dio, Palamede.

Con le mani si lavora, si crea, si esprimono sentimenti. Le mani di Dio plasmano l’uomo con il fango e sfiorano quelle di Adamo nella cappella Sistina, le mani di pittori, costruttori, artigiani, pastori, contadini… Le mani accarezzano, curano, salvano, invocano… Le mani definiscono la relazione nei confronti del prossimo (intima, personale, sociale, pubblica) e durante la pandemia hanno vigilato sulla corretta distanza. Ma le mani colpiscono, percuotono, violentano, uccidono. Alla sassata e alla clava si sostituiscono i droni, i razzi. Ubbidienti e creative nelle crudeltà più raffinate. Entrano in tante metafore di impegno, solidarietà, complicità, sopraffazione: a mani nude, mani sulla città, avere le mani in pasta, sporcarsi le mani, lo slogan scelto dalla diocesi per stimolare la partecipazione alla cosa pubblica.

Coltivare l’immaginazione dà senso  a tutto il percorso scolastico. Coltivare l’immaginazione è compito di politici, cittadini, educatori… La conoscenza immaginativa ci fa comprendere persone con vite diverse dalle nostre, ci aiuta a ripulire e rinnovare lo sguardo. A livello locale e globale siamo tutti condizionati dalla sua presenza o assenza. Non alza muri e barriere di odio, è curiosa, non si accontenta, si alimenta nel dibattito pubblico, nella discussione, nell’ironia. Dobbiamo, forse, imparare dai bambini: “Facciamo che...”. “Facciamo che tu sei morta… e io il medico?” “Ma, se sono morta!” “E allora… tu stai male e io chiamo l’ambulanza?” “E se non viene?” (Dialogo tra due bambine)

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